Qualcuno potrà obiettare che sono i cookies, l'inesperienza nelle ricerche (e certo, quando qualcuno ti vuol confutare qualcosa, c'è sempre uno più esperto e qualcuno non all'altezza!)
Ragion per cui, nella ricerca della verità, nella quotidiana narrazione dei fatti dell'Est Ticino, forse è opportuno, ricordarsi un po' quel che fu la storia che ci regalò questa democrazia, cosi
bistrattata e come dire? "poco apprezzata", dai contemporanei, cosi affini all'urlo e cosi diffidenti verso la riflessione e l'analisi.
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Novecento è un film del 1976 diretto da Bernardo Bertolucci. Dramma storico ambientato in Emilia, regione natale del regista, assembla un cast internazionale, raccontando le vite e l'amicizia di due uomini, il possidente terriero Alfredo Berlinghieri (De Niro) e il contadino Olmo Dalcò (Depardieu), all'interno dei conflitti sociali e politici tra fascismo e comunismo che ebbero luogo in Italia nella prima metà del XX secolo.
Presentato fuori concorso al 29º Festival di Cannes,[1] il film fu poi selezionato tra i 100 film italiani da salvare[2][3].
Il dipinto che fa da fondo ai titoli di testa del film è Il quarto stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo.
Nelle campagne parmensi i partigiani catturano gli ultimi fascisti; un ragazzo tiene sotto tiro il ricco proprietario terriero Alfredo Berlinghieri. Con un salto temporale, l'azione si sposta al passato, al momento della sua nascita.
I protagonisti nascono entrambi lo stesso giorno, il 27 gennaio 1901, data di morte del celeberrimo compositore Giuseppe Verdi[4], e nello stesso luogo, una grande azienda agricola emiliana, ma sono separati dalla diversa posizione sociale: Alfredo Berlinghieri è figlio dei ricchi proprietari, mentre Olmo Dalcò è figlio illegittimo di Rosina, una contadina e di un uomo a lei sola noto[5], che lavora presso la famiglia Berlinghieri. I due, crescendo, stringono un legame d'amicizia a dispetto della diversa estrazione sociale. La realtà sociale vede le lotte socialiste dei poveri contadini, lo scoppio della Grande Guerra, e nel dopoguerra la nascita del fascismo e la sua ascesa al potere; tutto cambierà con la caduta del fascismo e la feroce guerra civile tra partigiani e fascisti: le ultime scene del film sono ambientate il 28 aprile 1945.
La storia inizia il 27 gennaio 1901, giorno della morte di Giuseppe Verdi. Lo si intuisce dal fatto che il gobbo del villaggio, chiamato "Rigoletto" per la sua passione canora, torna a casa triste ed ubriaco gridando "Verdi è morto!"
Nello stesso giorno, due donne stanno partorendo il loro primo figlio: la prima a partorire è Rosina Dalcò, figlia di contadini che lavorano nell'azienda agricola della famiglia Berlinghieri, in Emilia, che dà alla luce il piccolo Olmo; la seconda è Eleonora, la moglie di Giovanni Belinghieri, figlio del ricco proprietario terriero Alfredo Berlinghieri, proprietario della medesima azienda agricola.
Nonno Alfredo attende con ansia la nascita dell'erede, che avviene solo dopo un pomeriggio di travaglio, lo saluta con gioia e gli dà il suo nome, Alfredo. Nella grande famiglia Dalcò, il nascituro Olmo non viene accolto altrettanto allegramente, in quanto tutti lo vedono solo come una bocca in più da sfamare in una famiglia che già conta 40 persone. Inoltre Olmo è un figlio bastardo, poiché Rosina aveva avuto il bambino 4 anni dopo la morte del marito, ma Leo Dalcò, nonno di Olmo e capostipite della famiglia, protegge fermamente l'identità del nipote. Subito il padrone distribuisce alcune bottiglie di spumante ai suoi contadini, che falciano il grano sotto il sole, per festeggiare la nascita del nipote, ma i mietitori non si azzardano a bere prima che abbia bevuto Leo Dalcò. Si intuisce che vi è una sorta di amicizia tra il vecchio Leo e il vecchio Alfredo, che brindano insieme al futuro dei loro nipoti.
1908. Olmo e Alfredo, cresciuti secondo le usanze delle rispettive famiglie, hanno ora otto anni e talvolta si frequentano, dimostrando caratteri e modi di vedere completamente diversi. In fondo, però, Alfredo ammira Olmo e quest'ultimo invidia Alfredo; tra i due esiste, insomma, una sorta di amicizia, caratterizzata da lotte e battibecchi, che si concludono sempre con un sorriso. Audace e spericolato, Olmo trascina Alfredo nei suoi divertimenti: rotolarsi nella terra, raccogliere rane nei laghetti, sdraiarsi sui binari della ferrovia mentre il treno passa sopra, ascoltare la voce del fantasma di suo padre nel palo telegrafico.
All'azienda agricola arrivano i primi attrezzi meccanici che riducono il lavoro dei contadini, ma vengono accolti con diffidenza dal vecchio Leo. Nella famiglia Berlinghieri, a mandare avanti l'azienda agricola è Giovanni, mentre nonno Alfredo è in preda ad una grave depressione dovuta alla vecchiaia, che lo porta a detestare il resto della famiglia e a mostrar tenerezza solo con il nipote.
L'ultima parte del film si riallaccia alle scene iniziali, quando, durante il sospirato giorno della Liberazione, il guardiano Attila viene giustiziato nel cimitero, di fronte alle tombe delle sue vittime, e Alfredo viene preso in ostaggio da un ragazzino armato di un fucile ricevuto dai partigiani. Olmo, creduto morto, ricompare ed inscena un processo sommario al padrone Alfredo Berlinghieri.
Il legame di amicizia prevale e Olmo "condanna" Alfredo ad una morte virtuale (in realtà sottraendolo al linciaggio), inizialmente poco compresa dagli altri paesani, ma alla fine coralmente accettata con una sfrenata e liberatoria corsa nei campi, sotto l'enorme bandiera rossa cresciuta e tenuta nascosta durante il ventennio. Sopraggiungono, con autocarri, i rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale, incaricati del disarmo dei partigiani. Proprio Olmo accetta per primo di deporre il fucile, dopo aver sparato in aria per simboleggiare l'esecuzione della parte vile e malvagia del suo amico più caro.
Alfredo ed Olmo iniziano così a scherzare di nuovo, accapigliandosi come da bambini. Il film si chiude con i due amici che, ormai anziani, continuano ad alternare atti di amicizia e litigi nei luoghi dell'infanzia, con Olmo che, come faceva da bambino, "sente" la voce del padre (mai conosciuto) in un palo del telegrafo, e Alfredo che si uccide (come suo nonno, nel solco della tradizione dei Berlinghieri) imitando il gioco goliardico che, da piccolo, lo spericolato Olmo compiva sui binari del treno in arrivo.
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