lunedì 23 novembre 2020

VAS per la mobilità sostenibile. gli atti del convegno in Bicocca del 13 5 2010

prima parte 

IN ITALIA: ALCUNI CASI A CONFRONTO DI PROMOZIONE ED INCENTIVO DELLA MOBILITA’ CICLISTICA

seconda parte

LE POLITICHE A FAVORE DELLA BICICLETTA IN EUROPA

terza parte

conclusioni di Eugenio Galli Ciclobby

IN ITALIA: ALCUNI CASI A CONFRONTO DI PROMOZIONE ED INCENTIVO DELLA MOBILITA’ CICLISTICA

Riccardo Pretto

Mobility Manager - Brescia

Sicuramente, dopo i numeri che ha esposto il rappresentante di Siviglia, non è semplice andare avanti, ma cercheremo nel nostro piccolo di presentare quello che è stato fatto nella città di Brescia.

Brescia è una città di 190.000 abitanti con 150.000 veicoli registrati e 90 chilometri di piste ciclabili, anche se, a dir la verità, devono essere sottoposte a revisione perché molte di queste sono poco praticabili e hanno numerose interruzioni.

Abbiamo partecipato al progetto CIVITAS, quindi tramite i soldi che ci metteva a disposizione l'Unione Europea riprenderemo anche il discorso della sistemazione delle piste ciclabili e la cartellonistica che è carente lungo le stesse piste ciclabili, ma una osservazione preliminare va fatta: Brescia è ritenuta una delle città più motorizzate d'Italia - c'è anche un detto: “al bresciano tocca la moglie ma non la macchina” - e questo la dice lunga sulla passione che ha il cittadino di Brescia per la propria macchina. L'ultimo modello di autoveicolo che viene lanciato sul mercato, a Brescia il giorno dopo c'è.

Al di là di tutto questo, abbiamo anche un pò di ciclisti che vanno sulle piste riservate.

 

Inizio subito a descrivere il servizio di bike sharing che abbiamo chiamato “Bicimia”.

Ogni postazione del bike sharing ha a fianco un totem con un cartello che indica tutte le postazioni che sono distribuite in città e con una telecamera di controllo e un pulsante per chiamare in caso di emergenza la centrale operativa che risponde a qualsiasi esigenza.

I dati che vi riporto sono riferiti alla situazione odierna: sono attive 23 postazioni e 230 colonnine. Abbiamo a disposizione 1.500 biciclette e abbiamo registrato oltre 2.100 abbonati.

Il numero degli abbonati ha raggiunto quasi il limite in termini di garanzia di un servizio efficace ed efficiente, per questo ne stiamo progettando lo sviluppo all'interno della città. Per ora invece il servizio è concentrato nel centro storico della città e lungo il “ring”, la prima zona oltre la parte centrale della città.

Con il sistema elettronico (quindi a tessera magnetica), ovviamente, siamo in grado di offrire una serie di servizi, oltre ché raccogliere i dati che ci servono per monitorare istantaneamente il sistema, cosa che invece che non avviene con i sistemi meccanici a chiave di altri bike sharing.

L'utente tipo è fatto più da uomini che donne. La fascia di età, come ho visto in altre città, di chi utilizza di più il bike sharing è compresa tra i venti e i quaranta anni, ma anche tra i quaranta e sessanta anni c'è un bel numero di utenti; oltre queste due fasce d’eta, l'uso diminuisce. Indagando sulla residenza - che è un dato importante – sappiamo che oltre ai cittadini residenti a Brescia, ci sono molti iscritti che provengono dall'area urbana della provincia e qualcuno anche dalla regione quindi, diciamo, è un servizio che è utilizzato non solo dai cittadini residenti e molti vengono con il treno e utilizzano poi la bicicletta per recarsi in altre zone della città.

Per spingere ancora di più sull'utilizzo del bike sharing nei percorsi casa-lavoro, stiamo pensando di migliorare le stazioni ai parcheggi scambiatori, che probabilmente mancano di elementi di riparo per i momenti in cui c'è pioggia.

Per quanto riguarda i tempi di utilizzo delle biciclette, avendo a disposizione 45 minuti gratuiti, nel 93% dei casi non viene superata questa fascia; in pochi si spingono oltre, e giustamente, perché hanno la possibilità di depositare la bicicletta e prelevarne un'altra, azzerando il tempo.

Degli ultimi dati: ottantunmila sono i chilometri presumibilmente percorsi dall'inizio del servizio che è entrato in vigore da giugno del 2008; il tempo medio di noleggio è di dodici minuti, quindi un utilizzo veramente veloce, immediato e che si sposa alle dimensioni del centro storico, attraversabile in dieci minuti.

 

Accennavo già ai progetti di sviluppo. Visto che si è riscontrato un successo piuttosto ampio, è previsto ed è già  finanziato, con fondi sia statali che regionali e comunali, un ampliamento in ambito urbano di altre 290 colonnine. Ovviamente, avendo programmato che nel 2013 avremo a disposizione la nostra prima linea di metropolitana, aggiungeremo altre 90 colonnine in corrispondenza del percorso di tredici chilometri della metropolitana. Abbiamo poi coinvolto i Comuni della prima cintura, con i quali abbiamo avuto parecchi incontri e questi si sono dimostrati molto interessati al servizio di bike sharing e quindi pensiamo di andare oltre al territorio bresciano con altre 150 colonnine.

 

L’altra azione del progetto Bicimia, oltre al bike sharing, è quella relativa all’apertura della struttura-parcheggio adiacente alla stazione ferroviaria con seicento posti per biciclette e una trentina anche per i ciclomotori.

L’iniziativa nasce da una richiesta avanzata con grande forza da chi utilizzava la propria bicicletta, lasciava la bici in stazione e poi non la ritrovava più, oppure ne ritrovava solo qualche pezzo. Ora, con questa bicistazione, l'utente possiede una tessera, accede ad un ingresso con porte tipo quelle di una metropolitana e deposita in sicurezza il mezzo. L’abbonamento alla bicistazione costa dieci euro al mese e l'utente può uscire ed entrare quante volte vuole e può usufruire anche di una zona di manutenzione per le piccole riparazioni.

Questa struttura, sorta sulle rovine del vecchio parcheggio, sta avendo un grandissimo successo perché offre le risposte alle richieste di una postazione sicura, coperta e accessibile anche in orari notturni.

 

Si parlava di furti, mi fa piacere che il collega di Siviglia se ne stia occupando nella sua città. Il primo obiettivo dell’amministrazione di Brescia in tema di mobilità ciclistica è realizzare piste ciclabili sicure; il secondo è il potenziamento dei parcheggi; il terzo risolvere il problema dei furti di biciclette.

Quest'ultimo è un problema molto sentito dall'utilizzatore della bici e molte volte mi sento dire dal un cittadino che non usa la bicicletta,  per andare in centro o comunque in un altro posto, perché ha paura  che gli sia rubata.

I furti avvengono quotidianamente, ed è per questo che abbiamo pensato di aderire al Registro delle Biciclette Italiano. Ciò comporta per il ciclista di dotarsi di una semplice, ma efficace, targa  che si applica sulla bicicletta. In aggiunta c’è anche un libretto, tipo quello del ciclomotore, dove sono registrati tutti i dati sia della bicicletta sia del proprietario. Raccolti i dati, ci si registra sul sito web di riferimento, dove è anche possibile mettere la fotografia della bicicletta. C'è un Numero Verde a disposizione - per chi non ha internet o non ha l'accesso attraverso il sito - e quindi il servizio è completo e dopo due anni di utilizzo a Brescia abbiamo ottenuto dei risultati strabilianti, anche in termini di deterrenza.

Ad oggi a Brescia abbiamo targato 2.500 biciclette. Ragionando su base annua abbiamo ridotto i furti, che si attestano ora a circa l'8% del parco circolante, mentre i furti delle biciclette di Bicimia rimangono al disotto dell'1%.

Il valore della targa per biciclette è collegato, soprattutto, al servizio di recupero e riconsegna al proprietario: all’inizio siamo riusciti a riportare un 50% delle biciclette rubate che erano targate mentre ora, con i ladri che si sono fatti più furbi, riusciamo a restituirne il 30%.

Si ottengono risultati perché possiamo contare sull'assistenza dei vigili urbani che, avendo accesso al data base, recuperano le biciclette anche se non hanno più la targa, risalendo all’oggetto rubato attraverso la marca, o il numero di telaio o attraverso la fotografia.

Volevo però finire con una piccola polemica perchè, dopo due anni di introduzione di questo tipo di servizio contro il furto delle biciclette,  solo poche altre città, pochi miei colleghi mobility managers e poche associazioni si sono date da fare, non dico per utilizzare lo stesso sistema, ma per far decollare iniziative simili. Molti hanno fatto finta che il sistema  non esistesse; molti hanno avuto pressioni - e qui possiamo dirlo - da parte di negozianti che hanno aderito e poi non hanno effettuato il servizio, forse, per il fatto che più bici si rubano più poi se ne potrebbero vendere. I costruttori di biciclette non hanno mai aderito al progetto, seppur gli avessimo proposto di prevedere la possibilità di apporre la targa prima ancora di venderla, che sarebbe la cosa migliore.

Le uniche città che ci hanno affiancato sono alcune dell'Emilia Romagna come Parma, Modena e Reggio Emilia, che forse sono un pochettino più attente e sensibili.

La situazione mi preoccupa da una parte e mi da un po’ fastidio dall'altra perché, comunque, se ci teniamo a diffondere la cultura della bicicletta, anche il problema dei furti è un fattore da affrontare con decisione.

 

Arcangelo Merella

Amministratore Delegato - Infomobility (Parma)

La prima considerazione che ho fatto sentendo i primi interventi di questa mattina è che c’è un valore che accomuna tutti quelli che si occupano seriamente dei problemi della bicicletta e riguarda sostanzialmente il fatto di dover considerare come elemento di fondo proprio il problema culturale: per l’espansione dell’uso della bicicletta come mezzo di trasporto nelle città bisogna fare proprio un salto di cultura di carattere generale, che investe gli stili di vita e i comportamenti individuali, ma anche un salto in avanti nella nostra cultura della mobilità.

E’ significativo, appunto, che i risultati migliori in assoluto - salvo il caso di Siviglia, che è una new entry, un caso eccezionale anche per la rapidità con cui ha raggiunto risultati di questa natura – siano ottenuti nei Paesi del Nord, dove la cultura della bicicletta come mezzo di trasporto è ben radicata. Lì le città sono fatte - e gli spazi sono fatti e studiati o rifatti e ristudiati - per l’uso della bicicletta; da noi invece è tutto molto più impegnativo.

Da noi prevale ancora un uso della bicicletta come mezzo di intrattenimento, del ciclista della domenica. Si scoprono poi tutti cittadini entusiasti della bicicletta durante le domeniche ecologiche, con le piazze e le strade invase; subito dopo la bicicletta viene rimessa da parte e si ritorna, prevalentemente, alla macchina che, come è noto, resta il mezzo di trasporto più in uso nelle nostre città.

Il fatto nuovo, però, è che la bici inizia a non essere più vista solamente come una moda del momento. Ciò sembrerebbe emergere in alcuni contesti italiani (qualcuno citava prima l’Emilia Romagna a cui ci aggiungerei buona parte del Veneto dove effettivamente la bicicletta comincia a diventare un mezzo d’uso abbastanza diffuso) ed è chiaramente testimoniato da grandi città come Parigi, Madrid,e e Barcellona, dove l'uso della bicicletta sta diventando veramente un fenomeno di massa.

Sul magazine del Sole 24 Ore c'era una piccola notizia che riguardava Boston. Stiamo parlando di una città fatta per le macchine, ma che sta scoprendo anch'essa l'uso della bicicletta e dove parte un programma di bike sharing con 2.500 biciclette.

Devo dire che non conoscevo il caso di Siviglia, che è effettivamente un caso studio e lo è per la rapidità con cui si sono ottenuti determinati risultati e per la capacità nell’adottare lo strumento urbanistico e utilizzarlo come strumento per radicare abitudini di tipo diverso. E’ vero che l'accostamento con Expo 2015 non è un accostamento casuale; credo che Milano  abbia davanti a sé un’occasione straordinaria per potersi trasformare, partendo dalla coraggiosa iniziativa del bike sharing, in una città dove è possibile usare la bicicletta in modo molto più attivo e diffuso.

Altro caso paradigmatico è il caso di Londra, dove accorte politiche di mobilità ampiamente note come la congestion charge hanno fatto crescere nel giro di pochissimi anni in modo esponenziale l'uso della bicicletta, tant'è che recentemente un giornale locale  ha scritto che il sistema sta andando in crisi a Londra perché c'è carenza di almeno 100 mila posteggi per le bici e, non vorrei dire una cosa inesatta, ma se non ricordo male London for Transport ha deciso di stanziare 150 milioni di sterline per poter adeguare la città alla ciclabilità. Insomma, anche per Londra possiamo probabilmente dire che la battaglia dal punto di vista culturale è stata vinta.

 

L'altro aspetto che voglio sottolineare, prima di passare al caso Parma, è che questa non può essere una scelta che prescinde da strumenti di pianificazione urbanistica. Alcune città italiane si sono dotate di un Biciplan, uno strumento non molto dissimile dal piano a cui prima faceva riferimento Siviglia, ma il Biciplan non può essere un “addendum” al Piano Urbano della Mobilità, deve essere uno strumento interno al Piano Urbano della Mobilità, che a sua volta deve condizionare il Piano Urbanistico comunale. Oggi avviene un processo inverso: il Piano Urbanistico comunale decide dove sono gli insediamenti, quale è la rete viaria; poi creo il Piano della Mobilità e poi ci attacco dietro anche il Piano della Ciclabilità.

La priorità è definire cosa sta in alto nella scala gerarchica della mobilità delle aree urbane. E’ questa la prima riflessione da fare, che non è uguale dappertutto. Non è uguale a Genova, dove ho fatto l'Assessore per dieci anni, “gerarchizzando” le modalità di trasporto senza aver mai messo la bicicletta al primo posto perché oggettivamente il territorio non si presta per questo uso (però abbiamo introdotto, con un po' più di fantasia, dei sistemi di risalita quasi fossero degli ski-lift.). In altre parti, però, ad esempio in Pianura Padana o nelle aree dove lo spazio c'è o lo si può ricavare, non è pensabile che non si metta ai primi posti della gerarchia di mobilità la bicicletta, trasformando il territorio attraverso un’accorta revisione degli strumenti urbanistici.

Detto questo, vediamo qualcosa sulla città di Parma perché credo che anche i ragionamenti vadano inquadrati sulle dimensioni effettive di una città perchè i casi di successo, o sono casi straordinari come pare sia appunto quello di Siviglia, oppure sono accompagnati da due cose, la tradizione da un lato e la disponibilità di territorio dall'altra.

Festeggiando in maniera adeguata la “mobility week”, la settimana della mobilità sostenibile, ho coniato uno slogan con cui vorrei fosse caratterizzata la mobilità a Parma; ho introdotto il concetto, che non credo sia una novità, di “slow city”, immaginando un modello di città che offra di sè un'immagine molto dolce e rassicurante, in contrapposizione, se vogliamo, alla “ fast caos city”, che è la città che invece tutti quanti conosciamo.

Parma è una città piccola perché ha una dimensione 261 kmq, ha 182.000 abitanti ed è il centro di un’area provinciale di circa 425.000 abitanti. Ha un alto indice di occupazione; è una città benestante dove per anni la ricchezza è stata un fattore vero. Ha una popolazione studentesca che per quel tipo di città è significativa: sono oltre trentamila gli studenti che vivono prevalentemente in un campus creato ad hoc non nel centro della città; in centro, invece, sono rimaste alcune facoltà umanistiche. Il tasso di motorizzazione è abbastanza alto; essendo una città con un reddito pro capite alto, di macchine di grossa cilindrata c'è ne sono molte; ci sono molti mezzi commerciali anche per la presenza dell'industria dell'agroalimentare e del manifatturiero; c'è una bella flotta di bus, con performance ottime in termini di utilizzo e che si sta progressivamente caratterizzando per la presenza di mezzi a basso impatto ambientale; è cresciuta la rete filoviaria e si sta ampliando la rete metanizzata.

 

Ci sono molte bici - si stima che siano oltre 60.000 le biciclette dei cittadini di Parma - con un'incidenza significativa di furti del 10%. Seimila biciclette l'anno spariscono e le misure fin ad ora adottate si sono rivelate inutili, ivi compresa quella illustrata dall'amico di Brescia di “Bicisicura” che non ha avuto successo perché esiste una certa diffidenza. Siamo tutti molto interessati a vedere se dal punto di vista della tecnologia è possibile trovare soluzioni migliori per risolvere il problema dei furti. Barcellona ha usato un sistema tecnologico e io ho cercato di farlo sperimentare ma mi pare che si sia ancora lontani in termini di rapporto costo e efficacia.

A Parma abbiamo 3.600 posti parcheggio distribuiti nelle rastrelliere. Il servizio di bike sharing conta su undici postazioni con, in tutto, circa 220 colonnine; ora è in fase di raddoppio e di espansione. Vi sono 87 chilometri di piste ciclabili, che contiamo di portare a oltre  i cento nei prossimi anni, con programmi già approvati e previsti negli strumenti finanziari del comune.

 

Facendo una panoramica sulla mobilità sostenibile, il car sharing cittadino è un fenomeno in crescita che suscita molto interesse. Nella settimana della mobilità sostenibile abbiamo sperimentato delle campagne che tendono a far iscrivere gratuitamente gli utenti, non perché devono avere tutto gratis, ma perché ci interessa che “consumino” il prodotto: hanno sottoscritto l’abbonamento in 270. Abbiamo fatto così anche per gli studenti universitari e nel giro di poco tempo abbiamo avuto più di cento iscritti.

L'estensione della rete dei mezzi pubblici non è enorme (800 km), con una zona a traffico limitato abbastanza ampia. Difatti tutto il centro è chiuso e tutta l'area di sosta è tariffata (con riserve per i residenti).

 

Le stime degli spostamenti modali – e parliamo di stime perché è molto difficile avere dei dati certi - riportate nel Piano Urbano della Mobilità del 2005 ci indicavano una quota di ciclopedonalità pari all'11%, di utilizzo del trasporto pubblico del 13% e di mobilità automobilistica privata del 76% dell'auto. Nel  2008, a soli tre anni di distanza, i rapporti sono significativamente cambiati: 19% in bicicletta (è dato certo, certificato anche da una indagine dell’Unione Europea); 18% con i mezzi del trasporto pubblico; 63% con l’automobile e tutte le restanti forme di mobilità. Da rilevare che a Parma ci sono anche molti percorsi e opportunità di spostamento pedonale; si cammina molto a piedi e oggi stiamo lavorando molto sul “Pediplan”, uno strumento di pianificazione dei percorsi pedonali e della messa in sicurezza degli stessi.

Dal Piano d'Area - scaturito dall'attività di mobility management promossa dall’amministrazione assieme a trenta mobility manager d'azienda, con un coinvolgimento di oltre 15.000 lavoratori - abbiamo dei dati un po' diversi sugli spostamenti: il 64% risulta ancora legato all’utilizzo dell'auto e il 13% alla bicicletta.

 

Naturalmente la tradizione e la conformazione orografica hanno stimolato l'uso della bicicletta e hanno indotto l'amministrazione comunale a puntare molto sul suo sviluppo, con iniziative abbastanza forti, tra cui la chiusura del centro al traffico. Inoltre, siamo stati aiutati dai finanziamenti cospicui che sono “piovuti” sulla città di Parma all'atto dell'insediamento dell'Agenzia per la Sicurezza Agroalimentare, con una destinazione di ben 1.200.000 euro per incentivi sulle biciclette che ha consentito ai cittadini di Parma di acquistare oltre 12.000 nuove biciclette.

 

Abbiamo attivato il servizio di bike sharing da alcuni anni. E’ in continua crescita e oggi siamo in crisi perché all'aumento degli iscritti e all'aumento dell'uso non è stato fatto corrispondere uno sviluppo del numero di colonnine e di biciclette per cui, ad esempio, molti utenti arrivano al mattino in stazione e dopo pochi minuti la postazione è vuota. La stessa situazione si verifica al campus universitario e all'ospedale, per cui bisognerebbe veramente fare investimenti massicci per poter avere risultati ulteriormente in crescita.

 

Abbiamo già elaborato un piano (inviato al Ministero dell’Ambiente, che lo valuterà e si esprimerà per il suo finanziamento con una graduatoria che uscirà a ottobre) sull'integrazione della bicicletta con tutti gli altri sistemi di trasporto perché per noi la bicicletta è un sistema di trasporto che sta insieme al treno, al bus, al car sharing e, anche fisicamente, gli spazi di utilizzo di questi mezzi devono essere contigui, deve crearsi la possibilità di interscambio di modo che ognuno possa  scegliere il mezzo a seconda delle proprie esigenze del momento: un pezzo lo faccio in treno, un pezzo posso farlo con la bicicletta, un pezzo posso farlo a piedi. La creazione di queste piattaforme plurimodali avverrà nel corso del prossimo anno.

 

Abbiamo sviluppato anche il sistema dei Front Office, cioè un punto bici immediatamente sopra un grosso parcheggio, che è molto usato, e ha riscosso un buon interesse.

Abbiamo realizzato parcheggi di biciclette all'interno di aziende nell'ambito delle politiche di mobility management ed abbiamo realizzato postazioni di ricarica per le bici elettriche.

Abbiamo aperto, da non molto, un Bike Office alla stazione per dare informazioni a chi è interessato all’utilizzo della bicicletta, ma anche per offrire servizi concreti. Parma ha in corso un investimento molto grosso dal punto di vista urbanistico: il rifacimento della stazione ferroviaria con un progetto urbanistico dell’architetto Bohigas che coinvolge un nuovo quartiere. Per realizzarlo, è stato necessario isolare il vecchio corpo della stazione e realizzare una “temporary station”, quindi una struttura che fa le veci della stazione e sarà demolita una volta terminato il nuovo progetto.

Approfittando di questo, abbiamo aperto il Bike Office di cui sopra. In un primo tempo avevamo proposto alle Ferrovie di siglare un accordo. Avevamo detto: “noi diamo a tutti i pendolari (abbonati) che arrivano o partono da Parma l'abbonamento gratis al bike sharing e facciamo un’azione comune di eco marketing; a voi non costa niente, a noi costa qualcosa, però offriamo un servizio”; loro ci avevano risposto “bellissima cosa; noi, inoltre, abbiamo problemi che ci pongono i ciclisti per avere spazio sui treni; possiamo lavorare assieme per offrire servizi integrati”.

Nella realtà, poi, abbiamo proseguito da soli, senza di loro, perché la burocrazia e, come dire, l'ottusità incontrata quando bisogna portare a conclusione questi accordi è impressionante. Distribuiamo l’abbonamento al bike sharing e abbiamo organizzato in prossimità della nuova stazione una piattaforma plurimodale dove c'è la macchina del car sharing, la bicicletta, il treno, il taxi, le linee di trasporto pubblico urbano ed extraurbano.

Ora stiamo anche cercando di dare una risposta al problema, molto diffuso, della carenza di spazio per il parcheggio delle biciclette. Vi sono già oltre mille biciclette che sostano presso la stazione e, in attesa di avere una velostazione per 2.000 biciclette, grazie all'aiuto degli amici di Brescia con cui siamo stati in contatto e ci hanno dato molte idee, realizzeremo entro l'anno un corpo aggiuntivo di “temporary station” dove riusciremo a parcheggiare, esattamente con quel sistema di accesso con tornelli meccanizzati, almeno 4/500 posti. Fra due anni, quando sarà smantellato, riuseremo questo sistema nella nuova stazione o in qualche parcheggio di interscambio.

 

Il nostro obiettivo previsto nel Biciplan è di portare lo split modale della bicicletta dall'attuale 19% al 30% in quattro anni. Non è facilissimo essendo una quota molto alta, ma secondo me è un obiettivo che raggiungeremo, o almeno ci avvicineremo molto.

Mi avvio alla conclusione indicando altre iniziative importanti: i programmi di biciclettate domenicali su percorsi turistico-culturali; la mobility card, ovvero una tessera di fidelizzazione con sconti presso cicloriparatori, negozi di abbigliamento sportivo e per avvenimenti sportivi servizi che ci consente di tenere contatti continui con 36.000 iscritti e stiamo evolvendo questo sistema verso una “carta multiservice” con un progetto molto impegnativo che stiamo portando avanti con IBM attenendoci al concetto di “smart town” basato su una carta che dia accesso a tutti i servizi di mobilità e ad altri servizi del Comune (progetto molto costoso e molto impegnativo ma che contiamo di realizzarlo); programmi per ridurre l'incidentalità; iniziative per mitigare il problema dei furti delle biciclette; lo studio e l'analisi della profilazione dei ciclisti, intesi come momenti importanti per poter poi predisporre una offerta adeguata alle aspettative; l'ampliamento delle rastrelliere per biciclette; eventi e campagne relative alla sicurezza; azioni di ecomarketing; piani di spostamento casa-lavoro e casa-studio anche per implementare l'uso della bicicletta; il bicibus, che riprenderemo perchè è una iniziativa interessante e va molto incoraggiata, ma non solo questo, in quanto lavoriamo nelle scuole con le associazioni per accrescere consenso e organizziamo la “Festa di Primavera” per i ragazzi che vanno a scuola in bicicletta o con il bicibus.

Ultimissima cosa: partecipiamo a programmi dell’Unione Europea. Uno è CARMA, un sottoprogramma di STEER in cui collaboriamo con Eindhoven, Londra, Goteborg e Budapest e ha come scopo quello di impegnarci per tre anni nel diffondere l'uso della bicicletta attraverso un’analisi attenta di alcune aziende pubbliche e private.

 

Paolo Gandolfi

Assessore alla Mobilità - Comune di Reggio Emilia

Volevo fare una riflessione legata ad un preciso aspetto. Noi abbiamo sviluppato una rete ciclabile molto diffusa perchè arriviamo a sommare 150 chilometri di piste e, sostanzialmente, abbiamo raggiunto quello che ci potevamo aspettare di raggiungere in una prima fase d’azione che consiste nella creazione di una cultura prevalentemente politico-sociale. Abbiamo cioè ottenuto la disponibilità della città a muoversi in bicicletta e abbiamo superato il passaggio caratterizzato dai più forti investimenti per la creazione delle infrastrutture e  degli spazi per la bicicletta.

Oggi dobbiamo affrontare il problema di come andare avanti. Il nostro modal split relativo alla bicicletta è calcolato intorno al 16% e i tecnici della società Polinomia ci hanno detto che, prevedendo lacrime e sangue, potremo raggiungere nel 2015 il 17 %. Io ho più fiducia e sono convinto che gli spazi di movimento siano maggiori, però devo essere sincero e la domanda che mi pongo oggi e che sottopongo alla vostra riflessione è cosa serve e come si fa, una volta posizionati ai vertici delle classifiche nazionali per l’uso della bicicletta, a compiere il salto di qualità e raggiungere livelli molto alti? E’ su questo tema che concentrerò il mio intervento.

 

A Reggio Emilia le caratteristiche territoriali sono simili a quelle di Parma; solo il formaggio è più buono, ma la città è praticamente identica!

Il nostro Piano della Mobilità, che è stato approvato nel maggio scorso e contiene i dati e le analisi del 2006 e del 2007, punti a degli obiettivi normali per una cittadina della Pianura Padana, cioè ridurre l'inquinamento atmosferico, la congestione del traffico e l'incidentalità. Naturalmente, la strategia più forte in assoluto per ottenere tutti e tre questi risultati è quello di puntare sulla ciclabilità, tra l'altro in una città medio-piccola dove abbiamo un trasporto pubblico peggiore di quello di Parma (abbiamo una ripartizione modale del trasporto pubblico intorno al 12%).

 

Come dicevo, i dati del 2006 di Reggio Emilia parlano di un 16% di spostamenti in bicicletta e 150 chilometri di piste ciclabili che, durante la loro realizzazione, ci hanno fatto confrontare con una serie di problemi in termini di qualità e di continuità.

Siamo stati indicati al secondo posto in termini di indice di ciclabilità nel rapporto Ecosistema Urbano 2008 di Legambiente, ma oggi dobbiamo andare oltre. Diciamo che abbiamo come punto di riferimento alcune città europee delle dimensioni di Reggio Emilia, con la stessa propensione allo sviluppo e alla crescita economica e un modal split ciclistico maggiore del 20% seppur in condizioni meteo-climatiche più sfavorevoli. Non sono città dove si va in bicicletta perchè non c'è altra possibilità, ma città dove la bicicletta rappresenta una scelta moderna ed efficiente.

 

Il 35% degli spostamenti a Reggio Emilia avvengono entro i 3 chilometri, e questo è un fatto importante perchè è stato detto più volte che questa distanza rappresenta la soglia ideale ove la bicicletta risulta il mezzo più ecologico, più economico e anche più efficiente dal punto di vista trasportistico. In queste situazioni, usare la bicicletta è una scelta dettata dal raziocinio e non solo dalla speranza, dalla volontà o dal cuore.

Abbiamo un forte sistema di limitazioni al traffico e di regolazione alla sosta - forte nel senso che la ZTL (zona a traffico limitato) è molto estesa, vi sono isole pedonali e la sosta a pagamento è applicata quanto serve per dissuadere l'uso dell'automobile come mezzo di mobilità interna all'area urbana.

Negli ultimi due anni, così come credo per tutti i Comuni, si è ridotta moltissimo la nostra capacità di investimento, prevalentemente a causa del Patto di Stabilità. Paradossalmente, ho catalogato questa riduzione negli investimenti come uno dei vantaggi a favore della ciclabilità perché, tra le modalità di trasporto, l'investimento sulla ciclabilità è quello più economico in assoluto. Rimangono, ovviamente, dei problemi perché non si può smettere di fare tutto il resto e concentrarsi solo sugli interventi per la bicicletta e perchè le difficoltà economiche incidono anche in termini di programmazione di spesa, però almeno si può dare un buon impulso a questo settore della mobilità.

Io ho fatto la campagna elettorale sei mesi fa e quasi tutti i partiti, contrapposti al nostro, hanno fatto la campagna elettorale  contro i restringimenti di strada che, inevitabilmente, sono conseguenti all'adozione ad una serie di scelte costruttive per quanto riguarda la rete ciclabile. In una città medio-piccola, benestante e senza altri grandi problemi, è chiaro che anche il tema della crisi non si è sentita in modo particolarmente pesante e, forse è triste, ma alla politica non resta altro che occuparsi del fatto che le strade siano state ristrette di ottanta centimetri. Su questo c'è in corso un grosso scontro di livello sociale e credo non lo si possa dare come un elemento acquisito.

 

Quali sono gli svantaggi tipici di Reggio Emilia, ma anche di altri centri analoghi? Sicuramente la storia della città ha remato contro; nel suo essere fatta e pensata per l'automobile crea un ambiente ostile su cui bisogna lavorare molto. Cito una cosa che classifichiamo tutti come progressista: la legge urbanistica della Regione Emilia Romagna del 1975, una delle prime in Italia, determinò gli standard urbanistici di parcheggio che sono praticamente gli stessi ancora oggi. Le città crescono e ogni  cittadino, stando a quegli standard urbanistici, ha diritto ad un posto auto in centro, due a casa, uno sotto casa per gli ospiti, uno al cinema, uno all'ospedale e così via. E’ quindi ovvio che noi viviamo ancora all'interno di una cultura, che un pochino cambia, ma che per lo più parla quel linguaggio.

Abbiamo una grossa limitatezza del nostro spazio pubblico e la prima scelta drammatica per un assessore alla mobilità di un Comune come il nostro è relativa a dove mettere le biciclette: assieme ai pedoni, con tutti i problemi che ne conseguono per la convivenza; in strada, con problemi di scurezza; oppure  si restringe la strada e ciò crea grandi discussioni. La limitatezza dello spazio pubblico è oggi un vero problema, non tanto per far crescere la rete, perchè fare dei chilometri di piste ciclabili in campagna è anche facile; il punto è che, dove serve di più,  fare dei chilometri di rete ciclabile ben fatta è molto difficile.

Altro elemento negativo: la debolezza - o quasi inesistenza - di politiche nazionali e regionali. Non è una lamentela, però il Codice della Strada è arretrato di  20-30 anni rispetto alla pratiche tecniche delle amministrazioni locali. E’ necessario aggiornarlo e, se non vogliono ascoltare i Comuni, prendano le proposte della Fiab, ascoltino gli esperti della materia e producano quelle innovazioni nel codice che servono a risolvere molte delle questioni oggi sul tappeto: sappiamo i problemi che abbiamo avuto - non so cosa abbiano deciso di fare a Parma  o in altre città - rispetto al tema delle bici contromano nel centro storico; noi le consentiamo e speriamo che tutto ci vada bene. In generale, siamo sempre soggetti a contenziosi; agiamo sul filo della legalità e non è giusto che sia così. Ora l’alternativa più sicura è non fare nulla, rimanere fermi, immobili e non far nulla per le biciclette. Altrimenti, bisogna forzare alcuni casi.

Per la questione degli investimenti, dobbiamo dire che non esiste alcun programma nazionale ed esistono limitatissimi programmi regionali dell'Emilia Romagna di investimento per le piste ciclabili. Io non pretendo che mi paghino le strutture del mio comune, ma se devo collegarmi ad un altro comune, se qualcuno mi desse una mano, questo potrebbe essere utile visto che, per esempio, le città di  Reggio Emilia e Parma distano tra loro solo ventisei chilometri.

Alle resistenze e ai condizionamenti culturali sfavorevoli di cui già parlavamo, aggiungerei il fatto che la pubblicità rappresenta sempre l'automobile  come un mezzo che viaggia solo in territori sconfinati e senza problemi. E’ ovvio che abbiamo un condizionamento sfavorevole.

Confermo che i fattori economici non sono rilevanti. Non può essere questo l'argomento che impedisce lo sviluppo della ciclabilità. La percentuale di investimento di un Comune come Reggio Emilia - che ha 150 milioni di euro di investimenti all'anno da distribuire su tutto, dalle manutenzioni alle scuole, e con 1,5 milioni all'anno riesce a mantenere e garantire quel livello di avanzamento della ciclabilità che abbiamo – dimostra che le risorse necessarie allo sviluppo e alla manutenzione delle rete si possono trovare.

C'è infine da tornare sul fattore strutturale, in particolare relativo alla disponibilità di spazio pubblico che è molto limitato, a cui va affiancato un tema molto importante soprattutto nelle grandi città che è quello della sosta. Il primo vero ostacolo è quello di eliminare in gran parte la sosta su strada e sappiamo quanto sia difficile; però, probabilmente, quello della sosta è il primo spazio da conquistare, l'hanno dimostrato a Siviglia  e lo fanno in più parti in Europa.

I fattori culturali: attenzione, perchè secondo me rispetto a 5/10 anni fa a Reggio Emilia, non so se a Milano vale lo stesso, sento un clima di arretramento, di caduta di tensione e attenzione. Si fa più fatica ad avere le masse critiche che ogni tanto ti danno una mano a ricordare alla tua città che il problema esiste. Noi, per esempio, abbiamo il bicibus che ormai è attivato da alcuni anni e ci sono 500 bambini che tutto l'anno fanno il bicibus in quattordici scuole diverse (più o meno un 35% delle scuole della città). Abbiamo avuto un picco due anni fa e adesso cominciamo ad avere un problema con i volontari che seguono i bambini. E’ un'esperienza di grande successo, molto riuscita e bellissima; la presentiamo ovunque, ma anche in questo ambito si nota un certo calo di tensione.

Per questo motivo, stiamo lavorando molto sulle campagne di informazione. Abbiamo coinvolto i medici pediatri per cercare di parlare con le scuole; abbiamo fatto, per esempio, della convivenza ciclisti-pedoni un tema che vogliamo affrontare a fondo.

 

Il Biciplan, dato per buono quello che ha detto il collega di Parma, è figlio del Piano della Mobilità, che “comanda” il Piano Strutturale. Noi abbiamo approvato il Piano della Mobilità e poi il Piano Strutturale e dentro al Piano della Mobilità è stato scritto: “mai più insediamenti dove non ci siano linee di trasporto pubblico”. Ci siamo così dati un pochino le regole di tipo urbanistico, per evitare che la domanda di mobilità automobilistica cresca in futuro in ragione della dispersione urbana.

Nel Biciplan abbiamo introdotto il tema delle ciclovie, cioè delle ciclabili preferenziali, e oggi siamo arrivati a questo paradosso: la città finora ha realizzato  prevalentemente - anche in area urbana, anche nella zona più interna - delle ciclabili in sede propria, generalmente bidirezionali, spesso ciclopedonali con la convivenza coi pedoni, e questo per ragioni di spazio. I cittadini chiedono questo tipo di realizzazione perchè la “domanda sociale” non parte dal ciclista che va a lavoro (quello che per il Comune di Siviglia è il soggetto principale da contattare), ma da chi vive nella strada oggetto dell’intervento. In realtà, molto spesso, ai ciclisti urbani serve altro. Abbiamo avuto molti incontri con la Fiab per definire quale sarebbe il modello migliore e, sebbene i cittadini fanno molta fatica ad accettarlo, questo modello si avvicina molto a quanto si realizza nelle aree del Nord Europa: lo spazio stradale, uno spazio condiviso, separato  e senza ostacoli fisici (che diventano pericolosi per  ciclisti), ma pensato in modo che non diventi un parcheggio. Diciamo che, dopo tanti studi, la corsia bici nello spazio stradale sembra risultare lo strumento più efficiente ed efficace.

 

Vi ho parlato del freno sociale, ma c’è anche il fattore titubanza di cui tenere conto. Noi vogliamo superarla e, ad esempio, nelle ciclovie principali facciamo la ciclopedonale per il “ciclista tartaruga”, e facciamo la corsia bici in strada per il “ciclista lepre” e proviamo a reggere su questa cosa. Ciò significa dover mettere sostanzialmente mano a gran parte delle ciclabili fatte, non dieci anni fa, ma due anni fa perchè questa è una innovazione che abbiamo introdotto dal punto di vista tecnico acquisendo anche competenze specifiche. Un altro grosso sacrificio lo facciamo nelle strade principali, quelle con traffico che può andare dai 55.000 ai 30.000 veicoli al giorno, in cui ci scordiamo le corsie bus. Come si dimostra in molti casi, la bicicletta è in realtà un competitore diretto del trasporto pubblico e riteniamo, alla fin fine, che la bicicletta costi meno, anche alla collettività oltre che alla persona. E’ molto brutto da dirsi, ma nelle condizioni attuali non possiamo fare altra scelta.

C'è il tema della circolazione nel centro storico in contromano che ci ha dato parecchie “gatte da pelare” però, alla fine, si è consolidato. E’ una questione di consuetudine e io dove vado in Europa fotografo i cartelli e li metto sul mio sito del comune, così tutti i cittadini che ci accusano di essere gli unici che mandano le bici contro mano possono vedere che non siamo gli unici “dementi” a fare questa cosa. Anche in Italia ci sono realtà come Bolzano che ha adottato questo tipo di scelta ed è meglio che arrivino presto altre città ad assumere queste iniziative in modo che la modifica del codice stradale arrivi più spontanea. Questo problema non esiste solo per la circolazione delle biciclette in contromano, ma anche per tutti i sistemi di regolazione e controllo del traffico, anche per quelli che hanno una grande efficacia in termini di sicurezza perché, diciamoci la verità, non si possono mettere i semafori a velocità, non si possono mettere gli autovelox in ambito cittadino, non si può fare sostanzialmente niente, dal “cuscino berlinese” alla realizzazione di dossi.   

 

Manca un progetto nazionale di sviluppo della ciclabilità ma, almeno, vorremmo chiarezza sulle cose da fare. Se tu Stato non hai un euro, fai un Codice come si deve, dacci lo spazio e le regole per fare le cose che ormai abbiamo fatto. Se voglio raggiungere il 30% di Friburgo, una città di 250.000 abitanti con anche un pò di collina e la neve tutto l’inverno, noi che a Reggio Emilia abbiamo la neve due volte l'anno e tutta pianura non lo potremo fare se prima non si risolvono tutte queste difficoltà.

 

Un’ultima cosa: del bicibus vi ho accennato; come vogliamo rilanciare questa iniziativa? Ecco il manifesto “Manifesto per una mobilità sicura, sostenibile e autonoma nei percorsi casa-scuola ”. E’ la novità assoluta quest'anno; lo abbiamo appena finito e lo vogliamo presentare come progetto anche a livello europeo. E' una sorta di accordo che coinvolge il Comune, tutte le scuole (le singole scuole, non il Provveditorato che spesso si dimentica di contattare le scuole), l'Osservatorio Nazionale Sicurezza Stradale, l'associazione dei medici pediatri, tutti i soggetti che possono avere interesse. Mette insieme tutta una serie di interventi tra cui il bicibus, le Miglia Verdi, il progetto Pedal.

A noi interessava arrivare al Mobility Manager scolastico cioè quella persona che all'interno della scuola fosse il referente delle politiche di mobilità. Attualmente, se va bene, esiste un referente per plesso scolastico comunicato al Provveditorato, ma noi abbiamo bisogno di una persona dentro la scuola che ci comunichi i singoli problemi, le singole disponibilità e si attivi in modo propositivo.

 

Raffaele Sforza

Responsabile Mobilità Sostenibile e Ciclabilità - Regione Puglia

 

In questi anni anche la Regione Puglia si è rimboccata le maniche cercando di dare centralità ai temi della mobilità sostenibile e della ciclabilità e ne approfitto subito per dire che tanti sono gli spunti emersi dagli interventi che mi hanno preceduto, tipo la mancanza di risorse, la mancanza di legislazione o le carenze del Codice della Strada.

Io vorrei ricordare che finché la legge 366 del 1998 esisteva - nel senso che veniva finanziata, e mi riferisco al 2002 - le Regioni si riunivano periodicamente per discutere i criteri di riparto e si creava automaticamente un meccanismo di interazione, di dialogo e di confronto tra le amministrazioni regionali e il Ministero, che però si limitava ad un ruolo di riparto matematico dei fondi, freddo e distaccato. Oggi, invece, quella opportunità, pur limitata, non esiste più perché il Ministero dei Trasporti non eroga più i fondi e quindi è venuto meno un qualsiasi momento di discussione.

E’ vero che la Provincia di Milano l'anno scorso ha attivato un coordinamento delle province e qualche Comune in giro per l’Italia realizza dei tavoli di confronto e collaborazione con le amministrazioni vicine, però una maggior capacità e una maggior opportunità di dialogo tra i diversi livelli di governo consentirebbero anche un confronto migliore sui temi di cui stiamo parlando.

 

Devo dire subito che nel 2005 la Regione Puglia, quando si è insediato il governo attuale,  nell'ambito della riorganizzazione delle proprie strutture ha istituito la figura del responsabile mobilità sostenibile della ciclabilità che svolge tutte le funzioni di cui abbiamo parlato quest'oggi.

Va dato atto però alle associazioni - in particolare alla Fiab pugliese, quella di Bari nata nel 1990 - che con un lavoro appassionato, meticoloso e puntuale  negli anni hanno creato un clima favorevole ai temi della ciclabilità, della mobilità sostenibile più in generale, per cui prima hanno contagiato l'amministrazione comunale di Bari che nel 2004 si è insediata con il sindaco Emiliano e quindi hanno collaborato con un assessore comunale sensibile, aperto e disponibile  a recepire le proposte. L'anno successivo si insediò il nuovo governo regionale; evidentemente c'era già un clima favorevole e anche la Regione accolse le proposte di realizzare e nominare qualcuno che si occupasse di mobilità ciclistica sostenibile. Questa figura, attualmente incarnata nella mia persona,  ha avuto la possibilità e l'opportunità di sviluppare questi temi all'interno della Regione. Attenzione, infatti: oggi si è parlato della carenza culturale, della gente che non pedala e della necessità di convincere le persone; io credo che prima di tutto bisogna convincere le amministrazioni, gli enti territoriali  e locali a fare il loro dovere e dobbiamo ricordarci che le Regioni hanno il compito di programmare e pianificare, così come avviene per tutto ciò che riguarda la vita di una Regione (trasporti, urbanistica, sanità, ambiente, ecc.).

 

A Bari sono successe tantissime cose; è avvenuta una piccola rivoluzione a livello comunale e negli anni sono nate le prime piste ciclabili, i primi mobility manager aziendali, l'ufficio comunale della mobilità ciclistica. In Regione poi si sono create le condizioni per ragionare sui temi della mobilità in bicicletta e sul ruolo che la bicicletta può avere negli spostamenti urbani e turistici.

Negli uffici regionali abbiamo cominciato a riflettere su alcuni dati - noti altrove e meno noti in Puglia - ad esempio quelli riguardanti il tema del turismo. Il fatto che dieci milioni di europei, secondo i dati della European Cyclist Federation (ECF) facciano le vacanze in bicicletta è un dato che inizia ad interessare a tutti. Allora, in mancanza di risorse finanziarie proprie dell'amministrazione regionale, mi sono inventato un progetto di cooperazione internazionale che la Puglia ha candidato per accedere ai finanziamenti INTERREG gestiti dal Ministero greco dell'Economia. E’ stata un’idea da pazzi e, visto che il programma di finanziamento era rivolto al bacino del Mediterraneo, hanno aderito al progetto le Regioni Puglia (come capofila), Basilicata, Campania e Calabria, oltre a Grecia, Malta e Cipro.

Cosa abbiamo fatto? Abbiamo cominciato a ragionare sui grandi temi, cominciando ad analizzare ciò che esiste in Europa e ad evidenziare tutto ciò che non esiste ancora in Italia. All'estero tutti sanno che esistono reti ciclabili nazionali, regionali e locali. ECF propone ormai da una dozzina d'anni EuroVelo, progetto di grande rete transeuropea con dodici grandi itinerari sulle direttrici nord-sud ed est-ovest per un totale di oltre 65 mila km. In ItaIia la Fiab ha proposto un progetto di piste ciclabili nazionale seguendo gli standard di EuroVelo. Ha quindi ideato Bicitalia che prevede la realizzazione di quindici grandi itinerari, alcuni dei quali coincidono con i percorsi di EuroVelo, diventando l’ossatura di una rete che poi dovrebbe integrarsi con le reti locali.

Visto che del finanziamento INTERREG Archimed potevano beneficiare le regioni e i territori del Sud Europa, abbiamo messo a punto questo progetto per individuare gli itinerari di media e lunga percorrenza di EuroVelo e Bicitalia che passavano per i territori, le regioni e i Paesi interessati. E’ chiaro che bisognava metterli insieme, operazione non facile ma molto educativa perché ha insegnato agli enti a stare assieme al tavolo, con la fattiva collaborazione di ECF e di Fiab (che erano i soggetti che meglio potevano descrivere gli standard di riferimento e quale era la visione generale della materia).

Questo progetto ha consentito di individuare i corridoi che potevano collegare la Puglia con gli altri territori e, per la prima volta, ogni ente partner ha fatto un censimento e una ricognizione di tutto ciò che esisteva in tema di ciclabilità, quindi i piani e i progetti esistenti, le piste ciclabili costruite bene o male, e altro ancora. Si è cominciato ad avere una conoscenza dell’esistente e anche delle risorse potenziali, vale a dire tutte quelle forme di viabilità secondaria che potevano essere riconvertire in piste ciclabili.

Ecco la cosa interessante anche per la Puglia è stata proprio questa. Abbiamo individuato  ciò che esiste e ciò che potenzialmente potrebbe trasformarsi in percorsi ciclabili: i tratturi, le linee ferroviarie dimesse, le strade forestali e di bonifica e le strade di servizio dell’acquedotto pugliese. Ciò ha consentito anche di iniziare a ragionare con tutte le istituzioni del territorio, che magari fino al giorno prima non avevano mai pensato a questi temi. Abbiamo effettuato uno studio di fattibilità per individuare i cinque itinerari di Bicitalia ed EuroVelo che passano per la Puglia, di oltre 1600 km, individuando e segnando sulla cartina tutti i punti di interazione con le altre reti e le strutture di mobilità, quindi stazioni, porti e aeroporti, perché la cultura della bicicletta si crea se si offrono le condizioni per cui la gente può andare in bicicletta, può salire sul treno, arriva per turismo, arriva in aereo con la propria bicicletta (alcuni anni fa, ad esempio, arrivarono in aeroporto dei francesi in bicicletta). Lo studio ha consentito di evidenziare come tutte queste dotazioni infrastrutturali che esistono sul territorio e che formano anche una rete molto importante di nodi di scambio - stazioni, porti e aeroporti – se non sono interconnessi alle vie ciclabili, allora è chiaro che esistono delle carenze notevoli.

Prima si parlava di Codice della Strada. E’ noto agli addetti ai lavori che il nostro codice è carente ed è per questo che la Fiab, che ha assistito la Regione Puglia per tutto il partenariato, ha messo a punto uno studio sulla segnaletica personalizzata da applicare agli itinerari del progetto CY.RO.N.MED. (Cycle Route Network of the Mediterranean)  e sia lo studio di fattibilità che il lavoro sulla segnaletica sono documenti approvati dalla Giunta Regionale e resi immediatamente attuabili, tant'è che alcuni percorsi sono già stati “tabellati” indicando questi itinerari.

 

Lo studio prevedeva alcune cose ma gli effetti di questo progetto sono stati, diciamo, veramente tanti. E' stato sottoscritto un protocollo di intesa con le cinque ferrovie regionali della Puglia. Il protocollo ha consentito di eliminare immediatamente il biglietto supplemento bici ed ha impegnato le cinque ferrovie, che hanno un contratto di servizi con la Regione, ad eliminare tutti gli ostacoli infrastrutturali, organizzativi, di comunicazione e tariffari per facilitare il trasporto integrato bici-treno.

Il progetto ha anche consentito di far avvicinare delle persone che non c'entravano niente col progetto a nuove idee. Per esempio un altro assessorato della Regione Puglia ha finanziato, con un bando dedicato alle idee imprenditoriali dei giovani, alcuni progettisti sulla base dei risultati di  CY.RO.N.MED. Il lavoro che ne è scaturito ha avuto la sua risonanza, avendo valutato la fattibilità di collegare con percorsi ciclabili i principali aeroporti della Puglia - Bari e Brindisi - e proprio entro fine dicembre ci sarà un incontro in aeroporto almeno per la parte di Bari per iniziare a discutere di queste soluzioni. Inizialmente la società di gestione dell'aeroporto era diffidente perchè chiaramente avevano, giustamente, altri interessi, altre intenzioni; però, poi, quando si vede che il progetto è offerto gratis perché già finanziato dalla Regione e c'è la possibilità di collegare e quindi di offrire un servizio a chi viaggia in bicicletta o anche gli stessi lavoratori e dipendenti dell'aeroporto che vogliono andare a lavorare in bicicletta e ciò innesca altri meccanismi finanziabili con altri bandi, il favore e l'interesse al progetto aumenta.

 

Dei cinque percorsi che abbiamo individuato con gli studi di fattibilità, la loro realizzazione, se non sostenuta economicamente, avverrà fra cinquantenni. Abbiamo allora incaricato la Fiab  di sviluppare e di individuare quale sia la migliore percorribilità in bicicletta oggi esistente, tra Bari e Napoli, per cui è stata costruita una cartoguida che attualmente è online sul portale turistico della Regione Puglia e intorno a questa iniziativa stiamo ragionando con l'Assessore al Turismo per verificare la disponibilità  a stampare materialmente la cartoguida in guida cicloturistica,  segnalando il percorso.

Questo progetto ha consentito di fare assistenza tecnica agli enti locali. Non so se in Italia ci sono delle università dove agli studenti di ingegneria o di architettura si insegna la pianificazione ciclabile; da noi in Puglia non esiste, per cui anche i migliori architetti e ingegneri non realizzano degli interventi di qualità e anche quando in Puglia sono stati finanziati dei progetti, purtroppo la qualità è risultata scadente. Abbiamo allora organizzato, sempre con la Fiab, degli incontri tecnici con i Comuni per fornire assistenza e spiegare un po' di “abc”.

Abbiamo anche prodotto un manuale, forse il primo in Italia prodotto da una Regione, che presenta tutto il know how possibile. Non è un manuale sulle piste ciclabili perchè le piste non sono delle protesi da appiccicare sulle strade dove non devono dare fastidio alle automobili, ma abbiamo cercato di chiarire alcuni concetti sul sistema di mobilità in bicicletta facendo anche riferimento alle leggi esistenti. Infatti, il Codice della Strada obbliga l'ente proprietario delle strade a fare delle piste ciclabili, obbliga a destinare parte dei fondi delle multe alla mobilità ciclistica, obbliga a fare educazione nelle scuole e tutto ciò non viene fatto.

 

Finisco dicendo che il progetto CY.RO.N.MED. ha permesso di inserire il concetto della rete ciclabile regionale tra le azioni strategiche del Piano Regionale dei Trasporti. Inoltre, le norme urbanistiche regionali hanno recepito le proposte scaturite dal nostro progetto per, almeno sulla carta, tutti i PUG e gli altri strumenti di pianificazione delle Province devono contenere obbligatoriamente dei Piani della Ciclabilità. Anche il Piano Paesaggistico ha recepito CY.RO.N.MED. ed è stato effettuato uno studio di fattibilità per  trasformare in percorsi ciclabili il canale principale dell'acquedotto pugliese.

Abbiamo organizzato dei progetti di mobility management e sostenuto la Fiab che ha proposto una modifica di legge per riconoscere gli infortuni in itinere per chi va in bicicletta al lavoro.

Sono cinque anni che le autorità pugliesi inaugurano la Fiera del Levante in bicicletta, lanciando un piccolo segnale in controtendenza che sostiene una nuova cultura della bicicletta. 

seconda parte

“Le politiche a favore della bicicletta in Olanda”

 

Mario Fruianu

Dipartimento Trasporti Regionali - Ministero Olandese dei Trasporti e delle Opere Pubbliche, Direzione Generale Mobilità

 

Buongiorno a tutti. Nel mio intervento di oggi descriverò la cultura della bicicletta che esiste in Olanda.

Nell’Europa del Nord – e in Olanda in particolare - la cultura della bicicletta è paragonabile alla cucina italiana, considerata la migliore del mondo: utilizzando semplicemente gli ingredienti corretti, non è possibile ricreare i piatti italiani così rinomati e amati in Olanda e in tanti altri Paesi; la cucina italiana nasce da una propria storia e da uno specifico retroterra culturale. La stessa cosa si può dire per la cultura della bicicletta in Olanda: se io vi mostrassi un bellissimo video promozionale, pur trovandolo splendido, non potreste replicarne (in modo identico) il contenuto nel vostro Paese.

Ora proietterò un video che non ha nulla di promozionale o commerciale, ma che testimonia una normale giornata lavorativa da noi in Olanda. L’invito che vi faccio è che da questo video e dalla mia presentazione odierna voi siate capaci di estrapolare quegli elementi e quei contenuti che possono adattarsi alla cultura italiana.

L'Olanda è il primo Paese in Europa per numero di biciclette; ci sono più biciclette (18 milioni) che persone (16,5 milioni). Voi sapete quanto sia piccola l'Olanda e una delle ragioni principali per cui si usa la bicicletta è che se tutti avessero ed utilizzassero l'auto, si creerebbe una gran confusione.

In Olanda il 27% degli spostamenti avvengono in bicicletta. Questa è la media nazionale, con picchi molto superiori che si registrano nelle grandi città. Ad Amsterdam, ad esempio, si supera il 50%.

In Olanda convivono sia la cultura della bicicletta che quella dell'auto. Sulle lunghe tratte l'utilizzo dell'auto è dominante, ma la bicicletta è in assoluto il secondo mezzo di trasporto più utilizzato, superando anche il trasporto pubblico (dopo il Portogallo, l'Olanda è il Paese con la più bassa percentuale di utilizzo dei servizi di trasporto pubblico).

L'uso della bicicletta è preminente sulle brevi distanze, ed è per questo motivo che il governo olandese si concentra e promuove la mobilità sostenibile sugli spostamenti brevi.

Anche in Olanda, come in Italia, la congestione del traffico nelle grandi città è il problema numero uno. In Olanda oggi ci sono più di 7,5 milioni di auto e, in futuro, pur essendoci già problemi di spazio, si arriverà ad averne 9 milioni. La bici, quindi, non è solamente una cosa bella, ma è uno strumento essenziale di cui non possiamo fare a meno se si desidera che la nostra economia dei trasporti funzioni bene.

Perché si usa la bicicletta in Olanda? Sono state fatte alcune ricerche per capirne le motivazioni. La ragione principale è che è divertente, flessibile e si usa all'aria aperta, così che, specialmente nelle stagioni estive quando il tempo è bello, la bicicletta è utilizzata per uscire, andare a scuola, a lavoro, per fare una gita con la famiglia.

Si viaggia in sicurezza con la bicicletta in Olanda? Se guardiamo le statistiche europee, più gente esce in bicicletta, più sicuro diventa il suo utilizzo.

La bici è economica ed è il mezzo più veloce per raggiungere la città, così come avviene in tante parti di Italia, dove i centri storici delle città sono chiusi al traffico.

La bici è anche facile da combinare con altri mezzi di trasporto come il treno.

Un uso frequente e diffuso della bicicletta produce anche vantaggi alla nostra società in genere, soprattutto se guardiamo le cose da una prospettiva di attenzione all'ambiente, a ridurre l’inquinamento e alla nostra salute. E’ per questo motivo che, oltre ad un programma per facilitare gli spostamenti casa-lavoro, puntiamo ad un secondo importante obiettivo che consiste nel rafforzare il legame tra salute e sport (a questo proposito, abbiamo un programma completo di servizi per la salute, con uno slogan che dice: “trenta minuti di esercizi per tenere lontano il dottore”).

 

Se consideriamo la politica e la strategia dei Paesi Bassi, è interessante analizzare alcuni elementi, da cui potreste trarre spunto anche per l’Italia.

L’Olanda è un paese piccolo, che ha una grande tradizione di politica urbanistica. Noi costruiamo sempre un forte legame tra urbanistica, edilizia e mobilità. Quando realizziamo dei nuovi edifici, cerchiamo sempre di fornire infrastrutture che facilitino gli spostamenti con la bicicletta, in modo che le persone possano realmente scegliere ogni giorno come spostarsi. Abbiamo smesso di contrastare l’uso dell’auto; non diciamo più alla gente che non deve usare l’auto, perché rappresenterebbe un atteggiamento di debolezza. La nostra politica è quella di rendere l’alternativa all’auto privata il più forte possibile: l’uso della bici dovrebbe essere talmente vantaggioso da essere preferito nella maggior parte delle occasioni. In termini europei si parla di “co-modality” quando si ha la possibilità di compiere ogni giorno la propria scelta; si può quindi anche avere l’auto, ma la si usa il meno possibile.

 

Andare in bici deve essere una scelta comoda, sicura ed economica. Le responsabilità per raggiungere questi obiettivi sono affidate ad una politica congiunta e concertata: governo nazionale e autorità locali operano insieme e dal 2000 è in atto un processo di decentralizzazione che ha trasformato in concreto i processi decisionali che prima erano tutti concentrati ad un livello nazionale.

I soldi per attuare le politiche di mobilità sono inviati direttamente a dodici province e sette aree metropolitane. Stiamo parlando di 1,8 miliardi di euro all’anno, da cui le autorità locali devono dedurre 1,2 miliardi da investire per il trasporto pubblico; il resto del denaro se lo dividono fra loro. Possono investire in infrastrutture per le bici, costruire parcheggi, sostenere i servizi di car-sharing. Il governo centrale non entra nel merito delle scelte; decidono e province e le aree metropolitane su come spendere questi soldi a livello locale.

Abbiamo però anche un piano nazionale, per affrontare al meglio i problemi di livello nazionale, per esempio per creare infrastrutture per muoversi in bici da un’area metropolitana all’altra (una sorta di rete di autostrade per biciclette, con punti ristoro dove bere il caffè al mattino e comprare il giornale).

Stiamo anche passando all’era dell’elettricità, con sempre più biciclette utilizzate con funzionamento a pedalata assistita, in modo da aumentare la velocità con cui i cittadini si spostano.

Un problema che ho rilevato nelle città italiane è legato ai parcheggi per le biciclette. In Olanda li vedete ovunque. Da noi il problema che abbiamo dovuto affrontare riguardava le stazioni ferroviarie, dove le bici erano davvero tantissime e ostruivano gli ingressi e i passaggi. Abbiamo quindi realizzato dei grandi parcheggi davanti a queste stazioni e stiamo continuando in questa attività, tanto che prevediamo di realizzare altri centomila posti-bici nei prossimi quattro anni.

Un altro grosso problema è l’elevata frequenza di furti di biciclette. In Olanda ogni anno ne sono rubate 800.000. Abbiamo quindi pensato di mettere un microchip nelle biciclette, in modo che la polizia possa rintracciarle e ci siamo dati l’obiettivo di ridurre il numero di furti annuali di centomila unità entro il 2013.

Nel 2010 vorremmo attuare una campagna collegata specificamente al tela della salute, perché andare in bici aiuta a stare meglio ed è dimostrato anche scientificamente che andare in bicicletta ogni giorno è molto salutare (fra gli impiegati, quelli che usano la bicicletta si ammalano meno).

Un aspetto che voglio rimarcare della politica olandese è quello dell’integrazione tra azioni di ministeri e autorità diverse. Non esiste alcun diktat da parte del Ministero dei Trasporti, o da parte delle autorità cittadine che si occupano di viabilità. Creiamo parcheggi, investiamo nel trasporto pubblico, nel sistema ferroviario; dal punto di vista della sicurezza operiamo con le forze di polizia per limitare i furti di bici. Il dipartimento per la salute e lo sport, ad esempio, si occupa dei benefici dell’esercizio fisico; quello dell’agricoltura mira a sviluppare opportunità nel settore del turismo in bicicletta; si opera in un’ottica di salvaguardia dell’ambiente anche sviluppando questo settore di mobilità sostenibile.

 

Ora, venendo alle conclusioni, possiamo affermare che muoversi in bicicletta appartiene appieno alla cultura della mobilità, al pari dell’utilizzo dell’auto, e dobbiamo rafforzare il più possibile questo concetto.

La bici crea un ambiente davvero sicuro. In Olanda ogni automobilista è anche un ciclista, quindi quando guida sa come deve comportarsi per fare attenzione alle biciclette; ecco perché non abbiamo bisogno di indossare il casco (ricerche hanno dimostrato che se il casco è obbligatorio, gli automobilisti diventano più disinvolti perché pensano che chi va in bici sia già al sicuro). La bici è inoltre una reale alternativa per effettuare gite sicure.

Ricordiamo ci infine che bisogna investire in infrastrutture per la mobilità ciclistica, anche se il processo di infrastrutturazione necessita per forza di tempi lunghi.

Grazie per l’attenzione. Altre informazioni le potrete trovare sul sito www.fietsberaad.nl (anche in inglese, tedesco e francese), dove è consultabile la brochure “Cycling in Holland”.

 

 

 

“Le politiche a favore della bicicletta nella città di Siviglia”

 

David Muñoz de la Torre

Servicio Observatorio de Sostenibilitad Urbanistica (Siviglia)

Il problema della mobilità nelle grandi città è evidente. Vi spiego la realtà di Siviglia.

Si tratta di una città di circa 700.000 abitanti ed una rete metropolitana che copre all’incirca 1.100.000 di abitanti; inoltre, esistono diverse città dormitorio che generano molti spostamenti.

A Siviglia gli spostamenti in bicicletta sono in aumento, rispecchiando di fatto l’andamento  di diverse città europee. Si pensi che negli anni ‘90, lungo le strade di Siviglia non vi erano quasi movimenti in bicicletta, ma le esigenze di carattere ambientale, legate alle emissioni che erano particolarmente elevate, ci hanno spinto alla realizzazione di un progetto di sviluppo sulla mobilità sostenibile.

 

La prima cosa che abbiamo fatto è stata la realizzazione di un progetto che prevedeva l’integrazione della bicicletta con i servizi di trasporto pubblico urbano. Prima di realizzarlo, abbiamo fatto uno screening per sondare il parere dei cittadini in merito all’uso della bicicletta. Il 46% dei cittadini chiedeva la realizzazione di infrastrutture sicure, meno traffico di automobili e più sicurezza.

Abbiamo quindi realizzato una mappatura delle potenzialità di spostamento all’interno della città individuando:

- le diverse tipologie di trasporto urbano presenti;

- le interconnessioni in città tra i flussi in entrata e in uscita e i punti che avevano bisogno  di maggiori connessioni come, ad esempio, i centri d’interesse (università, centri commerciali, punti di aggregazione sportiva, ecc).

Abbiamo avuto la fortuna che in quegli anni (2000-2005) ero un dirigente del Comune di Siviglia e abbiamo elaborato il Piano Urbanistico di Sviluppo iniziando a tenere conto delle esigenze che stavano emergendo in città anche dal punto di vista della mobilità sostenibile.

La redazione del progetto preliminare al Piano della Bicicletta è il risultato di un mandato esplicito del Comune di Siviglia definito nel 2003 attraverso un accordo plenario.

Nel 2005 il Consiglio Direttivo della Gestione Urbana ha approvato un documento relativo alle basi strategiche (una sorta di linee guida) per l’integrazione della bicicletta nella mobilità urbana di Siviglia. In questo documento abbiamo proposto la realizzazione di una rete di strade destinate alla circolazione esclusiva delle biciclette, da ottenere attraverso la progettazione e la realizzazione di otto itinerari urbani per una lunghezza totale di 77 chilometri.

Ho potuto quindi inserire all’interno del Piano Urbanistico Generale il Grande Piano della Mobilità di Siviglia, realizzando un piano parallelo che ha introdotto in concreto la bicicletta nella realtà urbana. Tale piano sulla mobilità è costato 18.000.000 euro ed ha permesso poi di realizzare l’intera rete in un anno.

Parliamo di rete in quanto, grazie a questo piano, con la bicicletta si possono raggiungere tutti i punti della città , con sicurezza, senza avere la necessità di prendere l’auto.

Abbiamo poi attuato una campagna di sensibilizzazione per convincere i cittadini all’utilizzo della bicicletta. Si tratta di una vera e propria lotta tra la bicicletta e l’automobile.

La bicicletta offre dei vantaggi di risparmio economico, di efficacia negli spostamenti brevi e, sul lungo periodo, di riduzione della congestione urbana derivante dal traffico. Abbiamo quindi pensato di utilizzare gli stessi metodi utilizzati nel passato per convincere i cittadini a utilizzare l’auto, ora invece per rieducarli all’utilizzo della bicicletta.

Per aumentare la mobilità non basta realizzare strade riservate alle biciclette, ma bisogna creare una rete di strade alternative e sicure che permettano al ciclista di trasferirsi da un punto all’altro della città.

La bicicletta deve avere il suo ambito di circolazione in quanto i cittadini devono percepire la bicicletta come un mezzo sicuro, economico e sostenibile dal punto di vista ambientale. Per ridurre i rischi derivanti dall’andare in bicicletta o a piedi e, contemporaneamente, migliorare la sicurezza stradale negli accessi secondari della città, abbiamo realizzato delle piste ciclopedonali di due metri di larghezza su aree pubbliche separate dalla circolazione del traffico veicolare.

Oggi possiamo affermare che Siviglia sia una città di riferimento per quanto riguarda la creazione di infrastrutture che favoriscono l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto urbano, sia grazie alle piste ciclabili (più di 120 chilometri di piste ciclabili bidirezionali, che equivalgono a 240 chilometri di percorsi; di questi chilometri, solo nel biennio 2006-2007 ne sono stati realizzati 80, con un investimento di 18 milioni di euro), sia grazie al sistema di bike sharing che mette a disposizione 250 stazioni per 2.500 biciclette collocate nei diversi quartieri della città.

Dal punto di vista del coinvolgimento, nel luglio del 2007, quando solo il 75% dei lavori di costruzione della rete infrastrutturale per la circolazione delle biciclette era terminata, i cittadini di Siviglia erano talmente entusiasti che non riuscivamo a terminare una pista che i cittadini erano già pronti con le bici per utilizzarla. Tutto questo è avvenuto grazie al grosso lavoro che abbiamo fatto sulla comunicazione.

Sappiamo che i cittadini sono interessati ad un progetto solo se si sentono coinvolti in prima persona, se “tocchiamo le corde” dei loro interessi personali e, comunicando bene quei messaggi per cui con l’uso della bicicletta si ha un risparmio economico, meno impatto l’ambiente e maggiore sicurezza negli spostamenti, oltre che realizzando la rete infrastrutturale sicura,  oggi i bambini vanno a scuola in bicicletta.

A Siviglia stiamo finendo di realizzare 4.000 parcheggi bici, abbiamo aperto una Oficina de la Bicicleta (bici stazione) e abbiamo istituito il Registro Municipale della Bicicletta, al fine di ridurre al massimo i furti.

Oggi girano tante biciclette pubbliche e private: il bike sharing soddisfa quasi otto milioni di spostamenti all'anno; in totale, nei giorni lavorativi avvengono più di 100.000 viaggi in bicicletta, ma questo dato si riduce della metà nei giorni festivi e di conseguenza si possono contare più di 31 milioni di spostamenti in bici all’anno.

I conteggi effettuati nel 2008 ci permettono di affermare che vi sono più di 34.000 cittadini che fanno uso della propria bicicletta e circa 10.200 che utilizzano Sevici (il servizio di bike sharing).

Tutto quanto ho descritto si traduce in un modo nuovo di percepire la città, di viverla, di comprenderla e di sentirla. Voglio concludere con una frase di un autore spagnolo: “Si può progredire se si pensa in grande; si può avanzare solo se si guarda lontano”… e ricordiamoci che una città per i bambini è una città buona per tutti.


terza parte   conclusioni

Eugenio Galli

Presidente Ciclobby e Responsabile Ufficio Legale Fiab

 

E’ difficile, dopo una mattinata così ricca di stimoli, immagini, dati, informazioni e sensazioni, selezionare i concetti per esprimere delle conclusioni che abbiano un  minimo di senso. Intanto voglio anch’io ringraziare chi ha organizzato in termini pratici questo workshop, e poi credo che le conclusioni, per molta parte, ciascuno se le possa trarre più o meno da solo. Io voglio raccogliere qua e là degli spunti venuti fuori dagli interventi.

Avevo letto - prima di fare un viaggio in Olanda quest’estate, dove ho percorso quasi 500 km attraversando le principali città olandesi - che gli olandesi fanno tutto in bicicletta. Qualcuno dice esserci anche un limite di capienza trasportistica della bicicletta, mezzo che non può portare tutto, ma io ho visto portare anche i “pallet”, quelli su cui si mettono i cartoni nei supermercati; ho visto portare quattro bambini; ho visto portare la spesa, i fiori ecc.. Devo proprio confermare quello che si dice degli olandesi!

Una delle cose che mi sono portato a casa da quelle mie vacanze estive è, tra le altre cose, il sorriso degli olandesi, e se ti vedono con una cartina in mano si fermano e ti chiedono se hai bisogno di aiuto, se hai bisogno di indicazioni, se sai dove ti trovi. Ecco, già questo può fare la differenza.

Gli olandesi sono anche frenetici; corrono molto in bicicletta e, negli orari di punta, fioccano ciclisti, a centinaia, da tutte le parti. Tu devi prestare attenzione quando attraversi non tanto alle macchine, che senti e vedi, quanto proprio ai ciclisti. Però, devo dire che anche in mezzo a questo correre si percepisce un senso di serenità ed un livello complessivo di qualità della vita. Non può non stupire soprattutto chi vive – e vale per la maggior parte dei presenti, immagino - in una realtà che è quella urbana e soprattutto urbana milanese. L’Italia è il Paese del sole, ma il sole forse ce lo siamo scordato, almeno nel sorriso e nella gestualità quotidiana che spesso tende a diventare nevrotica  e aggressiva oltre misura. Quindi la bici, anche da questo punto di vista, rappresenta qualche cosa di nuovo.

 

E’ stato detto bene che uno dei punti positivi delle esperienze di Siviglia, olandesi, le altre che sono state citate in giro più o meno per l’Europa è la sinergia interistituzionale. Le istituzioni, le più diverse, dei diversi livelli, dal nazionale al regionale al locale, collaborano tra di loro, e cercano di raggiungere degli obiettivi che sono innanzitutto concreti, e poi coerenti. Non si limitano alla redazione di una legge regionale di mobilità ciclistica, se poi questa rimane solo agli atti. Solo l’Italia sembra un caso diverso in cui questa collaborazione sembra non dover esistere.

Ecco, facevo dentro di me questa osservazione: lungi da me l’intento di redarguire gli assenti, e non penso che da una occasione d’incontro di questo tipo possano nascere delle visioni escatologiche  o delle soluzioni a cui nessuno poteva avere mai pensato, tuttavia ritengo che il confronto, il parlarsi , ma anche l’ascoltarsi, possano essere molto utili. Questo devono fare le nostre istituzioni perché a volte vien da pensare che, nonostante sia molto facile ed economico viaggiare in giro per l’Europa per vedere e sperimentare tante ottime pratiche, si faccia tantissima fatica a tradurli qui in scelte concrete, non tanto perché non ci sia domanda, ma perché è flebile la volontà di chi può intervenire.

L’anno scorso in uno dei viaggi studio di Fiab - l’ultimo organizzato da Gigi Riccardi – abbiamo visitato Strasburgo, che è una città di cui nella relazione finale abbiamo scritto: “tutto quello che potevi chiedere per la bici e non hai mai avuto”. C’è effettivamente di tutto: dalle strategie antifurto, alla comunicazione istituzionale, la promozione della bicicletta, le piste, tutto di tutto. Ci sono anche molte istituzioni internazionali, compreso il Parlamento Europeo, frequentate da tanti nostri concittadini, e mi è venuto da chiedermi si rechino in quei luoghi più o meno incappucciati, buttati dentro una macchina e scaricati direttamente dentro il Parlamento, senza la possibilità di guardarsi intorno.

In tutti i viaggi che ho fatto in questi ultimi anni in Germania, in Francia, a Strasburgo, in Olanda, mi sono sempre guardato intorno e devo dire che, pur non essendo un tecnico, si può imparare veramente molto.

La sinergia tra le istituzioni parte anche dalla capacità di realizzare insieme dei progetti importanti. L’assessore Croci stamattina ha detto che c’è una tendenza nuova a favore della bicicletta. Noi riteniamo veramente che si sia entrati in un nuovo corso? Se le leggi regionali della Lombardia, per es. la legge 65 del 1989 sul tema dei parcheggi e dell’intermodalità oppure la legge 38 del 1992 che dice che i Comuni devono introdurre nei propri regolamenti edilizi norme per consentire il parcheggio delle bici nei cortili e la maggior parte di questi, salvo Milano, San Donato e forse pochi altri, non ha adempiuto a questa norma dopo diciassette anni, secondo voi c’è una domanda nuova o c’è una disattenzione antica?

Le sinergie potremmo ora costruirle a partire dalla nuova legge regionale, una legge importante che parla per la prima volta di un Piano regionale della Mobilità Ciclistica. Ma, al di là del metodo che è stato usato per finanziare questa legge per l’anno 2009, il problema è che siamo scoperti in termini di finanziamenti per gli anni a venire! Una legge senza soldi è una legge destinata a rimanere tale solo sulla carta!

E’ vero, quando ci sono, i soldi possono essere spesi male, ma questo è un altro problema. Il punto importante su cui dobbiamo ragionare oggi è come garantire delle risorse costanti per finanziare le politiche a favore della bicicletta e nella proposta legislativa originaria - quella della minoranza a cui anche noi avevamo contribuito insieme ad altre associazioni in Commissione – si proponeva di destinare una quota dei proventi dalle assicurazioni auto, garantendo un flusso economico costante anche per il futuro. Questa proposta è stata accantonata, ed ora il passo più importante da compiere è quello di trovare un stanziamento regionale pluriennale da destinare a questa norma, perché altrimenti l’alibi della mancanza di risorse diventa ancora una volta un alibi per non fare.

E’ vero, come è stato segnalato, che la bici non ha bisogno di investimenti  ingenti, ma ha bisogno di un’attenzione coerente e competente, di un monitoraggio continuo accompagnato dallo studio delle cosiddette “best practices”. Abbiamo visto che anche qui in Italia ce ne sono; abbiamo visto che andando in giro per l’Europa c’è solo da imparare; bisogna quindi mettersi nell’ordine di idee che non conta solo il dato quantitativo, per esempio quanti chilometri di piste ciclabili esistono. Il valore quantitativo può essere sintomatico, ma non è decisivo, perché se le piste ciclabili sono progettate con angoli a novanta gradi, se si interrompono negli incroci, se sono fatte con il brecciolino anziché con materiali stabili, se non sono segnalate, se manca tutta la segnaletica d’itinerario, se mancano i servizi di supporto, se manca tutto questo, anche il fatto che a Milano, come abbiamo scoperto stamattina, esistano diverse decine di chilometri fruibili in bicicletta, rimane un dato puramente teorico, sterile, che non produce alcun valore aggiunto, perché poi, ad esempio, manca la continuità di percorso.

Allora, che cosa serve oltre a dove creare sinergie? Il mio è un commento cattivo, ma penso che a Milano abbiamo la cattiva abitudine di guardare in alto. Con l’assessore Croci c’è praticamente piena intesa su tutti gli argomenti, ma Milano non ha bisogno di confrontarsi con Parigi. Milano si può confrontare benissimo con Monaco che, dal punto di vista orografico, dimensionale e dei tipi di mobilità, potrebbe essere una sorta di “città gemella”. Eppure, se andiamo a vedere i numeri di Monaco, qualche cosa non torna.

Milano potrebbe confrontarsi con Strasburgo, che è un po’ più piccola, ma anche facendo questo paragone ci si accorgerebbe che qualche cosa non torna.

Maggiore attenzione alla realtà concreta significa che ogni città deve valutare le proprie condizioni (Genova non è Milano e Parma non è Otranto), e per quanto riguarda una città come Milano, l’obiettivo deve essere quello di avere una rete stradale interamente accessibile e fruibile per la bicicletta. Sono 2500 i chilometri di rete stradale di Milano? 2500 devono essere i chilometri di rete stradale accessibili in sicurezza alle bici. Questo è l’obiettivo! Se questo è l’obiettivo, definiamo poi le modalità con cui lo si deve raggiungere declinando queste modalità caso per caso; ma in generale la ricetta - questo ci insegnano le esperienze migliori – non è data non da un singolo intervento, non è data solamente dalle piste ciclabili, ma da un cocktail di interventi, che tenga conto, ad esempio, del tema della moderazione del traffico o degli interventi di sola segnaletica necessari per facilitare gli spostamenti dei ciclisti. Per quale motivo a Milano esiste una delibera del Consiglio comunale che due anni fa impegnava la Giunta ad adottare i necessari interventi per favorire la ciclabilità condivisa sui marciapiedi, in sicurezza e a norma di Codice, ed è tutto rimasto lettera morta?

Parliamo di pianificazione. Una buona pianificazione serve, nessuno lo nega, e le migliori esperienze ci dicono che il “Bike Master Plan” deve essere studiato, organizzato e pianificato bene. Non è il vangelo, evolve  continuamente, ma offre le linee guida su cui muoversi. Tutto questo serve perché noi crediamo che chi amministra le città, chi amministra il territorio, debba pensare non soltanto a chi la bicicletta la usa, ma  anche e soprattutto a chi non la usa, a chi non la usa, per esempio, perché ha paura. Questo è un tema nodale: la mia vicina di casa si distrugge alle sedute di spinning, ma si rifiuta di prendere la bicicletta perché ha paura di muoversi nel traffico.

Una politica nazionale della mobilità ciclistica non esiste, questo è gravissimo, e non ci si può basare solo sugli incentivi fiscali emessi in questi giorni, che vanno benissimo, ma se io mi compro una bici e la tengo in cantina, allora non ho risolto nulla.

Come diceva Croci, anche qui a Milano l’80% delle famiglie possiede una bici. Il problema non è di farne acquistare di nuove, ma innanzitutto di farle circolare in sicurezza e questo deve essere l’obiettivo. Se le istituzioni fanno ciascuna per se, le ferrovie si rifiutano di dialogare, se non c’è concertazione e manca una pianificazione anche solo per ridurre la percezione del pericolo a cui va incontro il ciclista, non si va da nessuna parte.

Oltre a tutto quanto ho detto finora, credo ci sia un altro filone da sperimentare, operando bene e attivandosi con coraggio. Reggio Emilia e Bolzano hanno fatto il passo avanti, sfidando quella che è un’interpretazione comune ma non una norma: non c’è nessuna norma che vieti esplicitamente il “controsenso” (e lo chiamiamo “contromano” perché diciamo che la circolazione in Italia è sulla mano destra) e quindi è possibile prevedere il doppio senso per le biciclette sulle strade a senso unico per le auto.

I tecnici del Ministero dicono che il senso unico frontale consente al veicolo di occupare l’intera sede della carreggiata stradale e dunque un automobilista non si può attendere che in senso contrario provenga un altro mezzo. Questa è la considerazione che sta alla base dell’interpretazione data al Codice e che ha prodotto i dinieghi finora opposti a tutte le amministrazioni che hanno presentato domanda in proposito.

Ma l’esperienza ci dice che in tutta Europa (Austria, Francia, Germania, Svizzera, Olanda ecc.), fanno due considerazioni esattamente opposte a questa interpretazione. La prima è che il “controsenso” giova al ciclista perché gli consente di arrivare prima a destinazione, effettuando un percorso più breve (e questo potrebbe essere un motivo egoistico, ma è comunque un incentivo all’utilizzo della bicicletta rispetto ad altri mezzi); la seconda, più importante, è che il “controsenso” favorisce la sicurezza stradale in ragione di un aumento della reciproca visibilità tra la bicicletta ed il mezzo che sopraggiunge in senso contrario.

L’anno scorso, quando siamo stati in viaggio studio a Strasburgo, i tecnici, diciamo così, della “Provincia” di Strasburgo ci hanno detto che Strasburgo è una città che sperimenta  per la Francia. A Strasburgo si usa sperimentare le soluzioni in tema di moderazione del traffico. Qui hanno introdotto in alcune strade, in via sperimentale, il ”controsenso” ed hanno verificato in concreto quanto dicevamo prima: in oltre dieci anni di sperimentazione non si sono verificati incidenti di rilevante gravità. Oggi, questa modalità di organizzazione viaria è stata regolamentata ed estesa; oggi Strasburgo ha oltre 360 strade a senso unico per le auto e doppio senso per le bici. Capite che ottenere lo stesso risultato fossilizzandosi unicamente sulla realizzazione di piste ciclabili sarebbe impensabile.

I risultati quindi giungono anche tramite una buona sperimentazione e a Strasburgo adesso stanno sperimentando il semaforo rosso con svolta a destra consentita al ciclista. Se l’idea dovesse funzionare, allora dopo la sperimentazione si passerebbe alla fase di regolamentazione e definizione di questa possibile nuova norma.

Cosa succede in Italia?  Succede che, invece di aiutare la sperimentazione, alcuni Comuni rischiano in proprio e sono lasciati soli contro l'interpretazione corrente, contro la giurisprudenza prevalente. Se domani dovesse succedere - Dio non voglia - qualcosa o nascessero dei conflitti, allora il Ministero direbbe: “te lo avevo detto e adesso sono fatti tuoi”. Succede quindi che i Comuni più all’avanguardia devono rischiare in proprio e, d’altro canto, anche i ciclisti rischiano perché, ad esempio, io vado anche controsenso, ci sono delle strade nelle quali lo faccio.

Noi vogliamo che questa situazione cambi; chiediamo che, sulla base delle migliori esperienze, siano avviate delle sperimentazioni anche sul nostro territorio, siano introdotte le necessarie modifiche al Codice della Strada e, soprattutto, si regolamenti con l'apposita segnaletica l’ambito urbano frequentato dalle biciclette.



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