C’è una cosa che più di tutte oggi non possiamo ignorare. Il tempo trascorso dall’esplosione dell’epidemia in Italia ci ha resi, comprensibilmente, più fragili e anche più delusi e arrabbiati.
Oggi l’Italia non è quella di marzo e gli italiani non sono più disposti a credere che andrà tutto bene o ad affacciarsi sui balconi per cantare.
Nel cuore e nella mente delle persone, oggi, c’è sofferenza per un caro che non c’è più, c’è la paura di ammalarsi, c’è il terrore di perdere il proprio lavoro o di non riuscire un domani a rialzare la saracinesca. Per tutti questi motivi, era necessario intervenire come ha fatto il Governo. Mai e per nessun motivo bisogna permettere che si mettano in conflitto il diritto alla salute con quello al lavoro: è necessario tenerli insieme, farli correre sullo stesso binario.
Il Governo, di fronte ad una curva dei contagi in rapida ascesa e ospedali vicini al collasso, ha dovuto assumere decisioni difficili, con nuove forti restrizioni, dividendo l’Italia in tre fasce a seconda della gravità della situazione epidemiologica locale: una rossa, una arancione e una gialla, dalla più grave alla meno grave.
Ci aspettano giorni, e molto probabilmente settimane, non facili. Le nuove restrizioni comportano grossi sacrifici e difficoltà per tanti lavoratori e lavoratrici, per studentesse e studenti che sono tornati alla sola didattica a distanza e per persone sole che rischiano di pagare un prezzo molto alto.
Ma il governo ha anche annunciato ristori più consistenti rispetto a marzo. E c’è da dire che proprio sabato è arrivata anche la buona notizia, con l’emissione dei primi mandati di pagamento per accreditare il contributo a fondo perduto agli operatori economici. L’Agenzia delle Entrate ha già disposto i bonifici in favore di più di 211 mila imprese, per un totale di oltre 964 milioni di euro. Il ministro Roberto Gualtieri aveva assicurato che i soldi sarebbero arrivati per il 15 novembre, ed è un’ottima notizia che arrivino già tra lunedì e martedì.
A ciascuno di noi oggi, come ha voluto ricordare il sindaco di Milano Beppe Sala, è richiesto un surplus di responsabilità, nel rispetto delle regole, e quindi nell’evitare situazioni che possono rivelarsi pericolose per la salute dei nostri anziani e dei più fragili e per la tenuta del sistema sanitario. Ma poi c’è la politica e ci sono le Istituzioni.
Il brutto episodio di Bergamo, con cittadini inferociti arrivati a protestare e intimidire il sindaco Giorgio Gori fin sotto la sua casa, è un grave segnale di allarme. Perché ci dice che non si può speculare sulle paure delle persone e che la politica non deve soffiare sul fuoco.
La Lombardia, come era purtroppo prevedibile, è stata catalogata come zona rossa, insieme a Calabria, Piemonte e Valle d’Aosta. Ma certamente sarebbe un errore non comprendere come questo risultato non sia frutto di uno strano scherzo del destino. E purtroppo la Lega, con il presidente Attilio Fontana arrivato a parlare di “schiaffo ai lombardi” non si è smentita. Il partito di Salvini è andato all’attacco, ha pensato che “avvelenare i pozzi” e attaccare il governo fosse più utile, piuttosto che mettersi a lavorare per far uscire la Lombardia dalla situazione in cui si trova.
Con un quarto dei contagi e un terzo dei morti a livello nazionale, era tutto, purtroppo, fin troppo chiaro. E non c’è nulla di più ostinato e incontrovertibile dei numeri. Di fronte ad un sistema sanitario a rischio collasso, a una medicina territoriale sacrificata anno dopo anno e ormai quasi inesistente e a trasporti sovraffollati, per l’incapacità di un’amministrazione di mettere al riparo i suoi cittadini in tutti questi mesi, quella del Governo non è affatto una scelta che punisce i cittadini o una scelta politica, come in casa leghista qualcuno ha vergognosamente voluto dire. Ma altro non è che il tentativo di arrestare la corsa del virus e impedire un nuovo disastro.
Dopo mesi di sacrifici e di responsabilità caricate sulle spalle dei lombardi e delle lombarde, ci saremmo aspettati un sussulto di dignità da Attilio Fontana e Giulio Gallera che, invece di rimboccarsi le maniche per farci uscire dalla zona rossa, usano il dramma della Lombardia per attaccare il Governo. E l’autonomia tanto invocata e poco praticata, dov’è finita adesso? Quello che chiediamo a questa Giunta è di assumersi al più presto possibile responsabilità economiche e sanitarie per far fronte all’emergenza, come altre Regioni, ad esempio l’Emilia Romagna, hanno fatto.
Nessuno di noi, men che meno tutte le categorie di lavoratrici e lavoratori colpiti dalla nuova stretta, è contento che la Lombardia sia catalogata fra le zone rosse e quindi ad alto rischio. Ma questo è il momento della responsabilità e della collaborazione istituzionale, ed è vergognoso che si continui a usare ogni occasione per speculare o addossare colpe a qualcun altro. A otto mesi dal primo caso Covid registrato in Lombardia siamo ancora qui, sguarniti della medicina territoriale tanto indispensabile e per giunta con una grave carenza di vaccini antinfluenzali.
Ogni cittadino di questa regione vorrebbe sapere perché siamo ancora a questo punto. Adesso si lavori per uscirne e per mettere al sicuro le cittadine e i cittadini lombardi, garantendo loro accesso ai tamponi, al tracciamento e risposte e ristori aggiuntivi a quelli del Governo per far fronte a una crisi che oltre che sanitaria è purtroppo anche economica.
A Milano, come in Lombardia e in tutta Italia, il Partito Democratico é vicino a tutti i cittadini in questo momento così difficile: perché nessuno si debba sentire mai più solo.
Silvia Roggiani segretaria PD metromilanese
Da immagina webcite
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