Il 3 aprile scorso sono cominciati i lavori di “bonifica e pulizia” di una parte della ex Piazza d’Armi di Milano: un’area di proprietà pubblica che si sviluppa su una superficie di 41 ettari (410 mila mq), 35 dei quali a verde, rinaturalizzata in più di trent’anni di abbandono da parte del Demanio militare che vi svolgeva le esercitazioni delle sue truppe corazzate, infine conferita a Invimit Sgr nel 2016 per essere “valorizzata” attraverso uno dei fondi immobiliari da lei gestiti.
Da decenni nel mirino degli asset speculativi che, grazie al solito progetto di “rigenerazione urbana”, pretendevano di trasformarla in una specie di Central Park (in teoria pubblico ma di fatto a uso condominiale) con palazzoni residenziali di “prestigio”, frazionati in quattromila appartamenti e relative logge, che ne avrebbero costituito il perimetro a mo’ di “limite invalicabile” alla fruizione pubblica.
Il 3 e 4 aprile, con un imponente dispositivo di “forza pubblica”, è stato effettuato lo sgombero degli orti “non autorizzati”, alcuni sorti come “orti di guerra” durante l’ultimo conflitto mondiale, alcuni usati come abitazione informale da persone e famiglie (anche con bambini) a vario titolo relegate nella cosiddetta marginalità urbana, al di fuori del perimetro sociale e abitativo considerato legittimo. L’intervento ha ricevuto il plauso bipartisan dell’assessore Maran e dell’ex presidente del Municipio 7 Bestetti e potrebbe far presagire che Invimit abbia trovato acquirenti interessati.
Da lì, come se non bastasse, è cominciata una settimana di passione caratterizzata da incendi dolosi che una stampa compiacente consegnerà alle cronache come “vendetta da parte di nomadi e piccola criminalità che lì svolgevano i loro loschi traffici”, ma che potrebbero anche essere inquadrate nella lunga storia che vede negli incendi dolosi a orologeria i migliori alleati delle speculazioni edilizie. Dopo la demolizione degli ex magazzini militari, questi episodi infatti non fanno che accelerare le spinte per realizzare le volumetrie previste dal Piano di Governo del Territorio (Grande funzione urbana o case che siano) e “addomesticare” il verde spontaneo e selvaggio incompatibile con eventuali valorizzazioni immobiliari.
Incendi dolosi che hanno colpito pesantemente anche l’area umida che da anni ospitava specie anfibie protette che per questo, grazie alla mobilitazione di comitati e associazioni, nel 2019 è stata dichiarata A.R.E. (Area di Rilevanza Erpetologica) da Regione Lombardia.
Questo sintetico quadro, cui bisognerebbe aggiungere anni di mobilitazione popolare e proposte di autorevoli progetti alternativi e di riutilizzo e conservazione di questo importante polmone verde di Milano e della sua ricca biodiversità (39 specie di avifauna, di cui ben 34 protette), per inquadrare l’argomento e stampare l’immagine di un fallimento.
Un fallimento, sì, di Invimit (controllata al cento per cento dal ministero dell’economia) che negli anni, nonostante si sia fatta coadiuvare occasionalmente da colossi del mestiere, è riuscita a “valorizzare” ben poco del patrimonio pubblico che le è stato conferito e che, dulcis in fundo, a dispetto dell’investimento pubblico dichiarato da regolare cartello di cantiere (quasi un milione e mezzo di euro) e l’ingaggio di una società di vigilantes privati, ha dimostrato la sua totale incapacità di tutelare quello che, fino a prova contraria, è ancora un patrimonio pubblico.
Ma soprattutto la sconfitta di una politica (della quale Beppe Sala e Pierfrancesco Maran sono gli interpreti più brillanti) che da troppi anni si è piegata agli interessi privati dei fondi speculativi globali, rendendosi complice della cessione di quel che resta della città pubblica e della trasformazione di Milano in città esclusiva ed escludente, umiliando il diritto all’abitare in cambio di una vera e propria elemosina – per redditi medio alti – chiamata Social Housing: ennesima trovata per favorire profitti privati, con il “rischio d’impresa” coperto dalle casse pubbliche, senza fornire soluzione all’emergenza abitativa che attanaglia i ceti popolari e i figli precari del ceto medio impoverito di Milano, vicina alla soglia di allarme e che rischia di esplodere in una vera emergenza sociale con le migliaia di sfratti esecutivi che, dopo la rimozione del blocco imposto dall’emergenza sanitaria, stanno per investire il capoluogo lombardo.
In questo contesto abbiamo Sala e Maran che, da una parte, si attribuiscono il merito della “riqualificazione” dell’area, millantando particolare attenzione alle tutele sociali nei confronti degli sgomberati e promettendo il mantenimento dell’area verde che, in realtà, è stata “blindata” da un vincolo ministeriale ottenuto dalla mobilitazione popolare e da una petizione presentata al parlamento europeo nel 2018; e, dall’altra, sempre Sala & Maran che, con sfacciata ironia, si fingono preoccupati dal costo inavvicinabile della vita a Milano e dal conseguente allontanamento forzoso dei suoi abitanti a “basso reddito” (in realtà anche “medio”) che loro stessi hanno contribuito a generare.
Un “modello di sviluppo” cinico e spregiudicato, che viene replicato in scala a livello globale, dipinto come “green” e “smart”, grazie a una efficacissima propaganda, nel quale si collocano anche tutte le altre grandi operazioni che gravano sulle ultime aree pubbliche di Milano: dal progetto del nuovo stadio privato di San Siro, con annesso quartiere commerciale di lusso, alla “rigenerazione” dell’area che ha ospitato Expo 2015 (col suo lascito di 1,4 miliardi di debito pubblico), così come per gli ex scali ferroviari e opere annesse alle Olimpiadi Milano-Cortina 2026, utili solo ai grandi speculatori privati – non servono particolari doti predittive per immaginare che, come fu per Expo e per le Olimpiadi di Torino 2006, genereranno debito, cemento, precarietà e devastazione ambientale, già in corso soprattutto sulle Dolomiti.
Un modello cui è sempre più urgente contrapporre una rinnovata opposizione sociale ed ecologista di massa. (off topic)
Sono almeno cinquanta le “sfumature di verde” utilizzate dalla narrazione tossica del Modello Milano e che Off Topic Lab, con un ciclo di incontri iniziato il 21 aprile presso la sua base a Pianoterra, si propone di decostruire e denunciare. A questo link tutti i dettagli dell’iniziativa “50 Sfumature di Verde”.
https://napolimonitor.it/ex-piazza-darmi-di-milano-limmagine-di-un-fallimento/
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