martedì 24 aprile 2018

La Battaglia di Parabiago


Dopo il clamoroso divieto che vuol colpire il 25 aprile, i punkreas, la liberazione e la legnano che non si piega, nel web, girano ormai storie e complotti.
eccovi la storia, nell'ultima riga, vedrete svelato l'arcano!

La battaglia di Parabiago (21 febbraio 1339) è una battaglia combattuta nelle campagne parabiaghesi, tra le truppe milanesi di Azzone Visconti, guidate dallo zio Luchino, contro la Compagnia di San Giorgio dell'altro zio Lodrisio, pretendente Signore di Milano.
Tutto cominciò nel 1327, con la morte del Signore di Milano Galeazzo I Visconti, che lasciò come unico erede il figlio Azzone, il quale, in opposizione al pontefice, comprò il titolo di Vicario di Milano dall'Imperatore di Germania Lodovico il Bavaro. Nel 1332 al governo del nuovo Vicario, si associarono gli zii Luchino e Giovanni Visconti Arcivescovo, figli di Matteo Visconti, in una sorta di triumvirato. L'altro zio Lodrisio, rimastone fuori, inscenò invano una serie di congiure, per spodestare i tre; quando tutti suoi complici furono arrestati da Azzone (23 novembre 1332), e rinchiusi nelle prigioni di Monza (dette i forni), fu costretto a fuggire a Verona, ospite di Mastino II della Scala.
Lodrisio, presso la corte scaligera, costituì un'armata composta perlopiù da germanici e svizzeri di lingua tedesca, chiamata Compagnia di San Giorgio, e con l'aiuto stesso di Mastino, Signore di Verona, strinse una serie di alleanze con i nemici del nipote, nelle quali rientrava anche Calcino Tornielli, Signore di Novara. Nel frattempo anche il nipote Azzone aveva concordato alcune alleanze: Ludovico figlio di Aimone di Savoia, il Marchese di Ferrara Obizzo III d'Este, le Signorie 
di MantovaSaluzzo e Bologna, oltre il Patriarcato di Aquileia. Così l'ambizioso zio, usurpando il titolo di Signore del Seprio, cominciò dal Veneto a muovere le sue truppe, scontrandosi con l'esercito ambrosiano presso Rivolta d'Adda (1339, primi di febbraio). Pinalla Aliprandi, come capitano generale dell'esercito di Azzone, gli mosse contro cinquecento cavalli, ma non riuscì ad arrestarlo al passaggio dell'Adda e, nei giorni seguenti, Lodrisio prese Cernusco in MartesanaSesto "di Monza" e Legnano, dove si ricongiunse con le truppe scaligere.
Arrivarono però i rinforzi in favore di Azzone: da Ferrara giunsero soldati sotto la guida di Roberto Villani, che venne eletto Capo delle Truppe Ausiliari dal Consiglio di Guerra. Ora il Vicario poté organizzarsi contro il rivale: mise truppe di stanza in alcuni borghi della zona del Sempione, a Parabiago le avanguardie, a Nerviano il centro della difensiva sotto lo zio Luchino Comandante Supremo dell'Esercito, a Rho il Villani controllava la retroguardia, in Milano invece lo stesso Azzone, malato di gotta, con al fianco lo zio Arcivescovo Giovanni, capitanava le milizie di difesa entro le mura.
Lodrisio decise di cogliere di sorpresa i nemici, entrò segretamente in Parabiago da tre vie: da Canegrate, dal Sempione e lungo l'Olona. Incontrate le avanguardie dell'esercito cittadino, decise di dare battaglia. Lo scontro si svolse in un clima particolarmente freddo, ed il campo di battaglia era ricoperto da una coltre di neve[1].
Si dice che i due eserciti, avendo entrambi le insegne Viscontee, per distinguersi gridassero Miles Sancti Ambrosii (Soldati di Sant'Ambrogio), per i milanesi, e Rithband Heinrich (Cavalleria di Enrico), per la Compagnia di San Giorgio.
Per alcune fasi, i soldati di Lodrisio ebbero la meglio, soltanto pochi nomi si distinsero tra le truppe ambrosiane, quelle comandate da Pinalla Aliprandi[2], tra i quali un certo Antonio, figlio illegittimo di Matteo Visconti, quindi ziastro di Azzone; egli fece strage di mercenari tedeschi e si impossessò del loro stendardo. Però ad uno ad uno crollarono i vari capi milanesi, così Luchino trovatosi in condizioni disperate, prese una decisione estrema: si armò di lancia e furiosamente si buttò a cavallo tra le file nemiche, venne poi disarcionato e fatto prigioniero dai Lodrisiani che lo legarono ad un noce; i suoi si persero d'animo e cominciarono la ritirata. Lodrisio vide avvicinarsi la vittoria, si accampò in centro paese e con i comandanti studiò le mosse per entrare in Milano, mentre i suoi soldati si davano all'ozio ed alle razzie.
I fuggiaschi raggiunsero Rho, dove Roberto Villani scelse di riorganizzare le file ambrosiane e si pose in marcia verso Parabiago: fu facile per lui cogliere di sorpresa le vedette e liberato Luchino, riprese a dar battaglia.
Altri fuggitivi raggiunsero Milano ed impauriti cominciarono a raccontare l'esito parziale della battaglia, che sembrava ormai conclusa in favore dei loro nemici. Azzone mise in allerta i militi entro le mura ed impose di chiudere tutte le porte cittadine, impedendo l'ingresso e l'uscita a chiunque. Pare poi che egli si ritirasse nella sua cappelletta privata per pregare Dio e Sant'Ambrogio.
Secondo le fantasiose cronache dell'epoca, le preghiere del "Vicario Imperiale" furono ascoltate: Sant'Ambrogio apparve sul campo di battaglia.
Cominciò a formarsi in cielo un nuvolone bianco, dal quale spuntò a cavallo il Patrono di Milano, era vestito di bianco, ed arrabbiato cominciò a frustare i soldati di Lodrisio, così i milanesi incoraggiati da tale miracolo, si avventarono sui nemici ed ebbero la meglio.
A ribaltare la situazione in favore delle armate di Luchino contribuì di certo l'arrivo sul campo di battaglia dell'esule bolognese Ettore da Panigo che, con la sua compagnia formata da 700 cavalieri, cambiò le sorti dello scontro, portando alla sconfitta della Compagnia di San Giorgio[3].
Lo stesso Lodrisio venne in seguito catturato nelle campagne e su ordine di Azzone fu rinchiuso nelle prigioni di San Colombano al Lambro, fino al 1349, quando dopo la morte di Azzone e Luchino, venne liberato dal magnanimo fratello, l'Arcivescovo Giovanni Visconti. Uno dei suoi alleati, Calcino Tornielli, venne cacciato da Novara, che divenne feudo visconteo.
Ad essere oggetto di celebrazioni fu, piu che l'intervento di Ettore da Panigo, soprattutto la leggendaria apparizione del santo patrono milanese, cui venne attribuito il merito di aver posto fine alla battaglia di Parabiago; il ricordo dell'evento, uno dei più cruenti dell'epoca[3], fu così eclatante che per secoli, nelle cronache milanesi e lombarde, oscurò la Battaglia di Legnano.

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