Nel mare di messaggi e commenti, mi va di condividere con voi quello di Mario Capanna
E di un episodio in una fabbrica di mine bresciana.
Quanto d’amore, di stima e di ricordi, Gino, fra noi. Ci siamo sempre fidati come due fratelli, a partire dalle prime assemblee studentesche, tu alla facoltà di Medicina, io all’Università Statale di Milano.
E poi, dopo, a sostenere con convinzione le nostre “utopie” operanti.
Mi ricordo, fra i tanti episodi, quel pomeriggio d’inverno, tu e io dietro un banchetto in Piazza Duomo a vendere, battendo i piedi per il freddo, copie del mio libro “Il fiume della prepotenza” , con il ricavato destinato a contribuire alla costruzione di uno dei primi ospedali di Emergency in Cambogia.
Mentre scrivo, e piango, sto rigirando fra le mani la minuscola ma assassina mina antiuomo, il cui involucro mi regalasti affinché - dicesti - mai dovessimo dimenticare la disumanità delle armi, e che la guerra deve diventare un tabù.
Tu, uomo di pace vero, lottatore autentico a fianco degli umili , ti sei speso fino all’ultimo perché l’umanità fosse migliore.
Sei stato sempre coerente con le idee dell’opuscolo che scrivemmo nel 1970 “ La medicina al servizio delle masse popolari”.
Nulla potrà veramente capire di te, e del tuo incessante lavoro, chi non considera che sei stato uno dei… prodotti migliori del Sessantotto.
Caro amico e compagno di lotte straordinarie, non avresti dovuto lasciarci così presto.
Perché, per ricordare la frase che ti piaceva, “ci sono morti leggere come una piuma, e altre più pesanti del monte Tai”.
Tu sarai sempre sopra la sua cima.
Mario Capanna
Le persone fanno la differenza, sempre.
PER GINO STRADA
Dino Greco
Eravamo nei primi anni novanta quando la Valsella Meccanotecnica di Castenedolo (Bs), controllata dalla Fiat, era leader nazionale nella produzione di mine anti-uomo, vendute all'Iraq in 9 milioni di esemplari. Vi lavoravano un pugno di ingegneri, pagati a peso d'oro, e 40 operaie, addette allo stampaggio, per 800 mila lire al mese. In assemblea ponemmo in tutta la sua gravità il problema della corresponsabilità anche di chi lavorava alla costruzione di quegli ordigni di morte. La prima risposta fu: "Noi non abbiamo le mani sporche di sangue; se non facciamo noi le mine le farà qualcun altro". Allora organizziamo un incontro in Camera del lavoro con Gino Strada al quale partecipò l'intero consiglio di fabbrica. La riunione fu introdotta da un documentario che Gino aveva portato con sé sui tragici e indiscriminati effetti delle mine, soprattutto sulla popolazione civile sui bambini, con mutilazioni permanenti, provocati da ordigni in qualche caso fatti a forma di bambole affinché suscitassero l'interesse dei più piccoli. Lo shoch fu potente ed innescò nelle lavoratrici una catarsi, una presa di coscienza che avviò una delle più straordinarie battaglie sindacali e di civiltà che io ricordi. A quel primo incontro con Gino Strada ne seguirono altri, mentre maturata la decisione di chiedere l'interruzione della produzione delle mine e l'avvio di un processo di riconversione. Ma la Valsella non aveva alcuna intenzione di rinunciare ad una produzione lucrativa come nessun'altra. Cominciarono gli scioperi, via via più intensi, fino a trasformarsi in un blocco a oltranza dell'attività. Il prezzo era altissimo. Dopo mesi di lotta le operaie e le loro famiglie vivevano a credito. La lotta non aveva contenuti salariali o normativi. Era il grido di donne che dicevano all'azienda dove si fabbrica la morte: "Noi non saremo complici". Quelle operaie vinsero, perché la moratoria nella produzione di quegli ordigni infami ne bloccò la produzione. A quel punto si fece avanti un'azienda, la
Vehicle Engineering&Design, che si candidò a rilevare l'impresa per produrre motori elettrici per automobili: indubbiamente un bel salto, dalle mine a motorizzazioni ecologiche. Ma la nuova azienda pose una condizione: potere vendere alla Spagna il brevetto dell'Istrice, un dispositivo per il disseminamento delle mine dall'alto, senza mappatura, con le conseguenze che ciascuno può immaginare. L'azienda promise che il denaro incassato sarebbe servito anche per saldare alle lavoratrici le mensilità arretrate. In assemblea intervenne la compagna più anziana, componente del consiglio di fabbrica e disse queste parole: "ragazze, in questi mesi abbiamo fatto tanta strada insieme e siamo cambiate. So che è dura, ma non possiamo tornare indietro. Quindi, nessuna macchia. Se la nuova azienda vuole subentrare, nessuna condizione. Le operaie approvano, tutte, con un grande applauso. A sera scrivemmo alla Engineering comunicando le decisioni assunte di comune accordo fra sindacato e lavoratrici. Per uno di quei rari casi che talvolta capitano, l'azienda rispose che rinunciava alla propria richiesta. Segui' una grande manifestazione, in realtà una festa. I brevetti furono restituiti amministro della difesa e gli stampi delle mine bruciati in piazza.
Sono certo che distanza di oltre vent'anni tutte le operaie ricordino questa vicenda come uno dei momenti più importanti delle loro vite e che il ricordo di colui che tanta importanza ebbe nella loro maturazione non è mai venuto meno.
Ben fatto, caro vecchio Gino.
La terra ti sia lieve
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