Io non ci sto!!! Io non ci sto ad essere trasformata in un angelo, quando fino a ieri e proprio grazie a quelle scelte, oggi ci troviamo nella cosi detta “merda” di fronte all‟emergenza coronavirus.
riceviamo e volentieri pubblichiamo
Questa lettera è di una compagna che lavora come infermiera in uno degli ospedali della Toscana, dove alcuni reparti sono stati trasformati in reparti per “emergenza corona virus” anche per alleggerire la pressione su quelli della Lombardia. E’ uno scritto che racchiude tutta la tensione e la rabbia di questi momenti da una parte, ma anche la consapevolezza dello scempio operato negli ultimi vent’anni e più. Chiede, se possibile, di farla girare, è un contributo non anonimo ma firmato con il coraggio di chi comunque lotta tutti i giorni.
Sono già diversi giorni che ho in testa l‟idea di
scrivere questa lettera, un'idea maturata perché l'emergenza
coronavirus ha scoperto ogni nervo di un sistema che, se ancora oggi
è in grado di dare una risposta lo deve solo all‟abnegazione del
personale sanitario. Il sistema sanitario è un sistema
complesso, se prendiamo a esempio l‟ospedale, perché funzioni
ha bisogno oltre che di medici, infermieri e oss, anche delle
lavoratrici e dei lavoratori delle pulizie, delle mense, delle
lavanderie, dei centralini, degli amministrativi, dei tecnici, dei
laboratori, dei lavoratori della logistica, del trasporto, etc.,
insomma di tutto un complesso di figure che fanno sì che quando un
paziente arrivi possa ricevere la giusta risposta sanitaria. Invece
cosa è successo in questi anni? I piccoli ospedali sono stati
chiusi, i letti ridotti, le mense, le cucine, le sterilizzazioni
esternalizzate, i laboratori analisi accorpati, i medici costretti
alle dimissioni precoci. Il personale sanitario si è trovato stretto
fra le decisioni dei vertici aziendali e i bisogni dell‟utenza.
Decisioni che tagliando i servizi e distruggendo quasi il territorio
hanno reso difficili e in molti casi inaccessibili le cure a chi ne
ha bisogno. Decisioni che ci hanno privato della nostra
professionalità, decisioni che ci hanno imposto che contano di più
gli aspetti amministrativi che la cura e l‟assistenza del paziente,
il tempo che passiamo con lui, la capacità non solo di curarlo ma di
sostenerlo, di aiutarlo di fronte alla malattia, alla sofferenza e
anche alla morte. Decisioni che hanno tentato di toglierci la nostra
dignità personale e lavorativa importantissima, perché come disse
giustamente 40 anni fa un medico, Mario Lizza “non c'è
umanizzazione dell'ospedale senza umanizzazione delle condizioni di
lavoro e di vita del personale che vi lavora”.
I cittadini dall‟altra parte hanno avvertito, perché lo vivono
tutti i giorni, i cambiamenti negativi di questo sistema, giustamente
si lamentano, s‟indispettiscono, esigendo risposte da chi non può
più soddisfarle e i modi di difendersi si manifestano nelle forme
più diverse, incalzati dai media e da campagne denigratorie. Ma c‟è
anche un‟altra ragione che mi ha spinto, sollecitata tra l‟altro
dalle lettere di altri operatori sanitari, ed è “l‟irritazione”
che mi deriva dalle parole dei vari ministri, presidenti delle
regioni, direttori ospedalieri, politici di destra e di sinistra, su
questa trasformazioni in angeli, oserei aggiungere dell‟inferno nel
quale continuamente ci costringono a lavorare.
Io non ci sto!!! Io non ci sto ad essere trasformata in un
angelo, quando fino a ieri e proprio grazie a quelle scelte, oggi ci
troviamo nella cosi detta “merda” di fronte all‟emergenza
coronavirus. Per anni si e lavorato sistematicamente per distruggere
la sanità pubblica, privatizzando, chiudendo ospedali, diminuendo
posti letto, dirottando il pubblico verso il privato, per anni si è
portato avanti campagne denigratorie contro noi, il signor Brunetta
insegna, attaccando i lavoratori e le lavoratrici del Pubblico
Impiego, come fannulloni, lavativi e furbetti. Per anni abbiamo
accumulato uno stress lavorativo dovuto al disagio per le richieste
eccessive e continue, interne ed esterne, spesso al di sopra delle
proprie risorse fisiche e mentali, quando addirittura divergenti con
le motivazioni personali. Per anni ci hanno fatto il lavaggio del
cervello affinché noi concedessimo loro, volontariamente il nostro
consenso a questa operazione. Laddove, con queste manovre, non hanno
raggiunto dei risultati, hanno adottato vari strumenti, sviluppando e
aggiornando forme di repressione tese non solo a colpire quelli che
non volevano sottostare, ma per infondere la paura come deterrente e
monito nei luoghi di lavoro per indurci al silenzio come unica
soluzione possibile.
L‟infame obbligo all‟azienda è uno tra quelli, inserito
nei nostri contratti di lavoro con l‟avvallo dei sindacati
confederali, che ci impedisce di denunciare quanto accade, pena il
licenziamento. Allora io mi domando se è‟ un delitto pretendere di
lavorare meglio, con più personale, in condizioni più umane, il non
voler essere di fronte al malato il capro espiatorio verso il quale
egli può riversare la sua rabbia e la sua sofferenza per
un‟assistenza che sempre peggio si fa carico delle sue esigenze? Se
è un delitto voler smascherare ogni tentativo di mettere un
lavoratore contro l'altro, nascondendo le reali cause del processo di
riorganizzazione in corso? Se é un delitto voler costruire un fronte
comune con gli utenti contro la distruzione della sanità pubblica e
contro chi vuole la condanna a morte di chi non si può permettere
cure? Per questo quello che voi chiamate la fedeltà all‟azienda
(che tanto ricorda la filosofia fascista), io la chiamo “obbligo di
omertà”, perché vorrebbe impedirci di denunciare le cause reali
di quanto sta succedendo in sanità a seguito di scelte politiche ed
economiche ben precise.
La frase di un cittadino calabrese sintetizza bene queste scelte;
“avete fatto della salute un mercimonio. Avete fatto dell‟ospedale
uno scempio. Avete fatto di un diritto un favore”. Oggi ci chiedete
di stringerci in un abbraccio che io definisco mortale, promettendo
tra l‟altro centinaia di assunzioni, così come fu fatto dopo la
Sars e il batterio New Delhi, promesse che si tradurranno in alcune
decine di assunzioni, con contratti interinali, che non risolveranno
il problema della mancanza di personale, ma che apriranno sempre di
più le porte all‟ingresso di lavoratori e lavoratrici, più
sfruttati, con meno diritti e più ricattabili.
Per questo io non ci sto. Io sono dalla parte dei lavoratori e
delle lavoratrici, come sono dalla parte dei cittadini e del loro
diritto ad avere una sanità pubblica, efficiente e qualificata su
tutto il territorio nazionale. Mi auguro che alla fine di questa
emergenza, noi tutti lavoratori e lavoratrici, avremo raggiunto la
consapevolezza che, di fronte allo scenario che si prospetta, divisi
non andiamo da nessuna parte e che per iniziare ad arginare la
valanga che si sta abbattendo su di noi dobbiamo rimettere al centro
la solidarietà, l'unità e l'autorganizzazione, riprendendo la
capacità non solo di informarci e informare ma di impedire che
attraverso questo processo la sanità diventi sempre più preda di
avvoltoi e criminali; Un processo questo che se non è ostacolato,
cancellerà ogni diritto e ogni legittima aspettativa dei lavoratori
e lavoratrici e il diritto a una Sanità Pubblica universalistica.
La difesa delle nostre condizioni di lavoro assume, quindi,
un‟importanza fondamentale che va ben oltre il mero ambito
contrattuale o l'interesse particolare di una categoria
professionale, perché coinvolge il tema della tutela della salute
dei cittadini (coronavirus insegna). Per fare questo è fondamentale
costruire momenti di aggregazione, solo da un‟azione collettiva
può nascere la forza in grado di contrastare questo
processo di privatizzazione e sottrarci dall'essere complici
involontari della distruzione della Sanità Pubblica perché la
salute non è una merce che si vende e si monetizza.
De
Angeli Gina - Infermiera professionale
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