mercoledì 22 ottobre 2025

Una discussione sulla città. Leoncavallo e offtopic

 Dalle pagine social del Leoncavallo e di off topic 

Leoncavallo 

Il Leoncavallo alla città

per 50 anni ancora

La città che vogliamo, il Paese che vogliamo, il mondo che costruiamo.

La grande manifestazione di sabato 6 settembre, e le successive moltitudinarie espressioni di piazza contro il massacro

della popolazione palestinese, caricano, i Centri sociali, le realtà autogestite, ogni persona o collettivo di opposizione,

di resistenza e di antagonismo, di una responsabilità alla quale nessuno può far fronte individualmente. Quelle

manifestazioni hanno dimostrato che c'è un sogno collettivo, la voglia di prendersi un mondo diverso. E' stato anche

detto con forza che il Leoncavallo non riguarda un singolo luogo o i Centri sociali diffusi nel paese. Riguarda, invece, la

possibilità che esista, e si manifesti con forza, un’alternativa ideale seria, polifonica e poliedrica allo Stato delle cose

presenti.

Tale alternativa si misura con la forza delle idee, con la diffusione delle proposte e delle iniziative di lotta, non certo con

la rassegnazione, il lamento e la frustrazione.

Proponiamo di organizzare, tutti e tutte, due giorni di convegno infinito e diffuso in più luoghi della città di Milano.

Convegno non limitato ai militanti dei Centri sociali e alle attiviste, ma aperto ad artiste, scrittori, scienziate, intellettuali

di prossimità, alle tante persone socialmente impegnate.

A conclusione del convegno, domenica sera, pensiamo sia necessario organizzare una grande iniziativa culturale per il

Leoncavallo diffuso per il centro della città di Milano.

Inoltre, proponiamo di organizzare un concerto il 18 di Marzo, anniversario dell’assassinio di Fausto e Iaio, e uno, in

Piazza Duomo, il 1 Maggio.

Parallelamente a questo grande sforzo collettivo di discussione e di proposta si procederà a compiere ogni passo

necessario per assicurare al Leoncavallo e a ogni altro spazio autogestito il diritto d’esistenza e di agibilità politica.

Gli spazi sociali autogestiti hanno creato, e continueranno, certo, a creare qualche problema agli amministratori e, a

volte, agli abitanti della città, ma sono stati una risorsa collettiva preziosa, un patrimonio al quale nessuna città può

rinunciare.

Senza gli spazi sociali autogestiti le città sarebbero un monumento al grigiore, alla tristezza e all’infelicità, oltre che un

sentiero lastricato di disuguaglianze e di sfruttamento.

Il fondamentale ruolo creativo e propositivo dei CS occorre rivendicarlo non soltanto per il passato ma soprattutto per

il futuro.

Il Leoncavallo non ha mai pensato che ci sia una strada privilegiata da percorrere al fine di difendere i Centri sociali e di

crearne tanti altri. Tutte le strade sono percorribili: l’occupazione di spazi privati, l’occupazione di spazi pubblici, la

donazione, il comodato gratuito, l’affitto, l’acquisto. La strada da percorrere dipende da molteplici fattori: la soggettività

dei luoghi, la loro forza, la situazione politica della città e del Paese, la presenza di soggetti sociali, politici ed economici

magari molto distanti da noi, ma interessati a dialogare con noi.

Identicamente, per il Leoncavallo è giusto che ogni spazio sociale autogestito si dia la forma giuridica che ritiene più

opportuna: completamente informale, associazione, cooperativa, società di mutuo soccorso, spazio pubblico

autogestito,srlsociale, fondazione. Tra queste diverse opzioni, come tra quelle precedenti, non ci deve essere ostatività,

inimicità o competizione, ma dialettica duratura e profonda.

La libertà di ciascuno vincola e crea le possibilità della libertà di tutti.

Dunque, teniamo aperte tutte le strade. Facciamo una mappa di tutti spazi occupabili. Verifichiamo la possibilità di

partecipare a bandi che non siano chiacchiere e perdite di tempo. Sondiamo, se ci sono, la possibilità di ottenere spazi

in donazione, in comodato o in affitto. Procediamo nel tentativo di acquisire lo spazio di via Watteau che per il

Leoncavallo, e il movimento nel suo insieme, avrebbe un significato enorme.

Chi si illudeva che la vicenda del Leoncavallo si sarebbe chiusa con l’occupazione militare dello spazio è uno stolto. Non

essendo stata fornita alcuna seria alternativa, via Watteau dobbiamo fare di tutto affinché rimanga la sede del Centro

sociale Leoncavallo. Già alcuni spazi e gli archivi sono oggetto di tutela, ma il Leoncavallo è un luogo vivo, la sua storia

non può essere inscatolata e condotta altrove. Ogni punto del suo spazio è espressione del suo archivio sempre in

costruzione.

Se le istituzioni della Città e del Paese non sono state capaci di acquisire lo spazio di via Watteau per il Leoncavallo, sarà

il Leoncavallo che acquisirà lo spazio di via Watteau per la città e per il Paese.

Per favorire il dialogo, la partecipazione e l’attivismo di tutti i soggetti interessati, l’assemblea nominerà suoi

ambasciatori e ambasciatrici con il mandato di preparare le iniziative indicate, di esplorare, in maniera pubblica e

trasparente, tutte le ipotesi relative allo spazio del Leoncavallo, oltre che di tenere i rapporti con gli altri luoghi

autogestiti, con la proprietà, con le Istituzioni della città e del Paese.

Dopo 3 settimane dalla presente data, tali ambasciatori presenteranno tutte le ipotesi esperite riguardo lo spazio del

Leoncavallo e la bozza di programma delle due giornate di convegno che saranno discusse in assemblea pubblica alla

quale, come sempre, è demandata ogni decisionalità.

Per presentare questi progetti, e per discutere collettivamente sulla loro realizzazione, è convocata un’assemblea

pubblica per il 22 Ottobre alle 20.30 alla sede provinciale di Arci Milano.

Leoncavallo in via Watteau, in ogni quartiere, in ogni città

Riprendiamoci la città, riprendiamoci la vita, conquistiamo il futuro.


Off topic

Il direttivo del Leoncavallo SPA ha condiviso una lettera pubblica per invitare i movimenti, l’associazionismo, gli spazi occupati a un’assemblea mercoledì 22 ottobre in cui illustrare la propria proposta per il futuro dei centri sociali. Un testo che presenta con toni generali la legittima necessità di trovare una soluzione di sopravvivenza dopo lo sgombero subito, presupponendo che la modalità scelta per farlo avrà un impatto necessariamente positivo sugli spazi sociali, occupati o meno, della città. Riteniamo i contenuti e le argomentazioni esposte un pesante passo indietro rispetto alle mobilitazioni degli ultimi due mesi e in particolare l’esplosione di un movimento di massa contro il genocidio a Gaza e in Palestina da parte dello Stato sionista di Israele.

Anzitutto, dovremmo chiarire che non riteniamo che il Leoncavallo abbia alcuna auctoritas che lo autorizzi a parlare a nome della moltitudine antagonista o della società civile critica di questa città – e di questo Paese. Infatti, leggiamo come finalità quella di “compiere ogni passo necessario per assicurare al Leoncavallo e a ogni altro spazio autogestito il diritto d’esistenza e di agibilità politica”. Questo è precisamente il primo problema: se è vero, come viene detto più avanti, che non esiste “una strada privilegiata da percorrere al fine di difendere i Centri sociali e di crearne tanti altri”, non pensiamo nemmeno che questo significhi che il fine giustifica ogni mezzo – e soprattutto che, qualunque mezzo si scelga, il fine dichiarato non ne venga intaccato. Per cui la strada scelta dal Leoncavallo per ritornare in via Watteau non riteniamo abbia un valore generale e valga come possibile modello per tutti. Se si vuole intraprendere un percorso costituente che inauguri una nuova fase storica di movimento, nei limiti in cui questa possa essere “pianificata”, allora forse sarebbe importante uno spirito maggiormente collegiale e autocritico.

In secondo luogo, mettere sullo stesso piano la combinazione di mezzi e strumenti molto diversi – l’occupazione di spazi privati, l’occupazione di spazi pubblici, la donazione, il comodato gratuito, l’affitto, l’acquisto – con forme giuridiche profondamente differenti – informale, associazione, cooperativa, società di mutuo soccorso, spazio pubblico autogestito, srl sociale, fondazione – significa confondere contesti e storie. Non si può fingere che un bando sia sempre e solo un bando, che una donazione sia sempre e solo una donazione e così via. Attenzione: non stiamo parlando della regolarizzazione, su cui non abbiamo nessun tipo di remora morale rispetto a chi decide di perseguire quella strada; facciamo riferimento però alle condizioni concrete e ai soggetti a cui ci si rivolge e che determinano se si può trattare di una soluzione strumentale o invece del preludio all’integrazione e al disarmo verso lo Stato di cose presenti – e le forze di mercato che lo dominano.

Che tipo di sussidiarietà positiva si può produrre in una città come Milano, governata da una classe dirigente economico-politica che, dopo la mobilitazione del 6 settembre e gli scioperi generali del 22 settembre e 3 ottobre, ha scelto di perseguire la propria strada di conservazione neoliberista, ipocrita e classista? Non si può fingere che, dopo 15 anni che già basterebbero a rifiutare ogni opzione collaborativa, non ci siano stati i voti a favore della svendita di San Siro (una delle più grandi operazioni speculative contro la Città pubblica e i suoi abitanti) e per il mantenimento del gemellaggio con la capitale di uno Stato genocida (quindi ponendosi contro il più importante movimento sociale e giovanile esploso in città dai tempi prima della pandemia).

Non è un caso che il documento politico non faccia nessun accenno a queste due tematiche fondamentali. Così come non spende una sola parola per la critica delle Olimpiadi invernali prossime venture né per parlare della questione centrale del diritto alla casa negato nel territorio metropolitano milanese: tema direttamente collegato alla geografia del potere reale della città, in mano a quei padroni contro cui abbiamo manifestato il 6 settembre scorso, e che non può essere trattato separatamente da qualsiasi discussione sul ruolo dei centri sociali.

Perché la proposta politica sottesa alla lettera del Leoncavallo non riguarda nemmeno solo gli spazi sociali e le forme possibili dell’autogestione in città. Sarebbe riduttivo pensarlo. Quella proposta politica riguarda invece le forme dell’abitare la città nel suo complesso, della produzione dello spazio urbano – di chi lo determina, lo comanda, ha diritto di intervento al suo interno. Nessun feticcio muove le nostre parole: i centri sociali sono una forma dell’organizzazione e dell’autorganizzazione politica radicale, antagonista, nati in una determinata congiuntura storica e che non è detto debbano essere eterni nelle loro caratteristiche – d’altronde, come era inevitabile, sono già cambiati parecchio da 50 anni a questa parte. Però crediamo che la loro reinvenzione, che ha a che fare con il nostro futuro, debba essere parte di una libera discussione collettiva dal basso sulla ridefinizione di una nuova idea rivoluzionaria di città, che non può adagiarsi sugli strumenti esistenti, prodotti dal potere: quindi non tanto “ostativi” o “in competizione” con esso, ma con progetti di liberazione di quartieri, territori, spazi e ambienti si.

Gli scioperi generali e le mobilitazioni per la Palestina ci hanno insegnato – o meglio ricordato – che bloccare tutto è possibile. Ma ciò che ci chiedono la Palestina e tutti i movimenti decoloniali – e la lotta contro il patriarcato con essi – è di liberare noi stessi. Quindi, piuttosto che costringere quello spirito di rivolta generale nello spazio ristretto di soluzioni personali per vertenze individuali, rilanciamo con un passo avanti: dopo il “blocchiamo tutto”, liberiamo tutto.


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