sabato 15 marzo 2025

I verdi vogliono le dimissioni di Grandi, Gorini Cucchiara e zerbini di Sala

 Milano è la città del cabaret, di cochi e renato, di Jannacci.

Non ci servivano questi.. 

Ma tant'è e allora ridiamo insieme.

Cucchiara e Gorini han pugnalato alla schiena Monguzzi... Non paghi si danno al cabaret 

Noi verdi chiediamo le loro dimissioni e loro scrivono strafalcioni 

Ridiamo insieme 

MILANO CERCASI 

(astenersi perditempo)

La settimana appena trascorsa è stata il punto più basso di 13 anni di governo del centrosinistra a Milano. 

Nessuno ne esce vincitore. Non chi ha cercato di pilotare l’approvazione del salva-milano, non chi l’ha difeso, magari anche in buonafede, ma neanche chi si è opposto come noi e ora avrebbe motivo di cantare vittoria: per l’ennesima volta, come consueto ormai da mani pulite in poi, non è stata la politica a vincere ma la magistratura che si è trovata a dover portare avanti quelle battaglia che la politica fa una fatica incredibile a fare.

Di fronte a tutto questo abbiamo due alternative: arrenderci e “andare a casa” come chiede qualcuno oppure cercare di portare a termine il (tanto) lavoro buono che comunque si sta facendo, contenere i danni e sulle macerie di un modello di politica e di città provare a mettere le basi di cosa vogliamo per il 2027.

Io sono della seconda opzione quindi ci provo, partendo da qualche necessario dato di realtà.

Almeno fino a pochissimo tempo fa il “modello Milano”, cioè un’idea di città basata sull’attrazione di capitali attraverso marketing territoriale, turismo, eventi e condizioni favorevoli agli investimenti immobiliari e alla rendita fondiaria, ha goduto di un solido consenso tra i pochi che ancora si prendono la briga di andare a votare. 

Solo 3 anni e mezzo fa infatti, alle ultime Amministrative, Pierfrancesco Maran, la persona che meglio di tutte ha incarnato e tradotto in prassi politica e amministrativa (e perfino performance teatrale) questo modello ha segnato un record di preferenze, raccogliendo, lui da solo, circa ⅕ dei voti presi da tutte le forze politiche che, dentro o fuori dalla maggioranza al governo della città, hanno contestato e continuano ad opporsi a questa visione.

Se il “sistema Oggioni” di cui abbiamo letto in questi giorni sui giornali ha potuto esistere è anche perchè parlare di urbanistica è difficile e aveva smesso da tempo di essere un tema coperto da stampa e politica, ad esclusione di poche eccezioni, prima dell’apertura di questo filone d’inchiesta.

L’urbanistica non è fatta di slogan accattivanti ma di indici, di sigle, di una selva di riferimenti normativi nazionali, regionali e locali non sempre coerenti: non certo un argomento con cui si raccolgano tanti voti o click. E’ in questo “angolo cieco” che si è creato spazio per le discrezionalità.

Oggi, grazie all’intervento della Procura, il tema è tornato al centro del dibattito pubblico, anche se spesso chi ne parla ha letto solo i singoli commi messi in discussione dai magistrati: meglio di prima ma ancora non abbastanza per il vero dibattito consapevole che richiederebbe un argomento centrale per il governo di una città.

I comuni tutti e le grandi città in particolare, si stanno impoverendo: colpiti in maniera sproporzionatamente dura dalle politiche di austerità e con leve fiscali limitate, si trovano ad affrontare bisogni crescenti e aumento dei costi con risorse sempre più ridotte, come denuncia ormai anche l’ANCI.

Metto queste considerazioni in fila non per disfattismo ma perchè al contrario credo che per affrontare un avversario, se si vuole vincere, bisogna essere consapevoli delle condizioni del terreno di gioco e della forza propria e altrui.

Se vogliamo mettere in discussione questo stato di cose dobbiamo guardarci in faccia e chiederci che modello alternativo vogliamo mettere in campo. Perchè la rendita e gli eventi sono stati la risposta (sbagliata) a un problema vero: Milano ha smesso di essere città produttiva, “la città del lavoro". Il fatto che le indagini si concentrino sulle demolizioni e ricostruzioni di ex capannoni industriali diroccati racconta plasticamente questa perdita d'identità.

Io credo che nonostante tutto abbiamo gli strumenti non solo per immaginare ma anche per mettere in atto un’idea alternativa di città: diversa dalla città fabbrica del ‘900 ma anche della città vetrina di questi anni ‘10 e ‘20.

Per farlo penso sia importante ribaltare il rapporto tra le istituzioni pubbliche e chi investe: dalla vicenda del salva-milano a quella di San Siro a tantissime altre emerge come il Comune in questi anni abbia cercato di affrontare le difficoltà mettendosi a servizio degli investitori privati per facilitarne i progetti di sviluppo, rinunciando al proprio ruolo di direzione e governo e subendo le scelte dei privati.

Se vogliamo cambiare davvero le cose questo rapporto deve cambiare: 

sono le istituzioni che devono definire in che direzione va la città e che possono farlo riducendo il margine di azione di chi investe per speculare e impoverire, come il capitale immobiliare, e favorendo al contrario chi lo fa per portare stabilmente lavoro, innovazione e creatività, le cose che fanno grande Milano da sempre.

Sono sempre le istituzioni che devono recuperare competenze e capacità per investire sulle infrastrutture pubbliche e preparare la città alla sfida dei cambiamenti climatici senza dover sempre ricorrere all’appoggio del privato.

E’ la politica che insieme a sindacati, lavoratori e attivisti deve mettere fuori gioco chi paga salari da schifo, chi sfrutta e fa contratti precari rendendo la città un posto insostenibile da cui chi può scappa appena possibile a gambe levate

Milano invece merita di tornare ad essere il centro di qualcosa e non solo un punto di passaggio.

Queste sono, solo alcune, delle idee da cui credo dovremmo partire a discutere per ritrovare Milano. 

Tommaso Gorini - Consigliere Comunale di Europa Verde - Verdi Milano 🌻 @follower

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