Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Dal gruppo regionale del Partito Democratico
Ormai non si può neppure definirli separati in casa. La convivenza tra il presidente della Lombardia Attilio Fontana e la “sua” vicepresidente Letizia Moratti pare sempre più burrascosa, al punto che la scelta dell’ex sindaco e ministro di mantenere il suo ufficio al Pirellone appare sempre più come la conferma di una distanza volutamente marcata nei confronti della gestione dell’epidemia da parte del principale inquilino di Palazzo Lombardia. Il congedo del direttore generale del welfare Marco Trivelli, che per 8 mesi si è caricato sulle spalle un sistema sanitario al collasso, suona come sconfessione totale della gestione lombarda dell’emergenza. Non è un caso che Moratti abbia scelto di puntare su un manager sanitario di lungo corso come Giovanni Pavesi, uno dei pochi sopravvissuti dell’era Galan in Veneto, marcate competenze organizzative e collaborazione consolidata con la Bocconi. Dopo aver pescato in Veneto il direttore di Aria, altro punto debole, anzi debolissimo, della gestione Covid, la Lombardia ruba a Zaia un altro dirigente apicale, quasi a dire che il management lombardo non abbia le competenze necessarie per cambiare passo. E pensare che, fino a prima della “cura” leghista, la Lombardia era considerata modello di riferimento e fucina di competenze di altissimo livello. Abbiamo la triste impressione che si voglia risolvere la crisi sanitaria con qualificatissime consulenze esterne che metteranno progressivamente in mora la politica. Siamo di fronte a un commissariamento de facto della giunta Fontana che sta sempre più diventando giunta Moratti, con buona pace degli elettori lombardi. Quanto durerà questa convivenza?
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