prima parte
IN ITALIA: ALCUNI CASI A CONFRONTO DI PROMOZIONE ED INCENTIVO DELLA MOBILITA’ CICLISTICA
seconda parte
LE POLITICHE A FAVORE DELLA BICICLETTA IN EUROPA
terza parte
conclusioni di Eugenio Galli Ciclobby
IN ITALIA: ALCUNI CASI A CONFRONTO DI PROMOZIONE ED INCENTIVO DELLA
MOBILITA’ CICLISTICA
Riccardo Pretto
Mobility Manager
- Brescia
Sicuramente,
dopo i numeri che ha esposto il rappresentante di Siviglia, non è semplice
andare avanti, ma cercheremo nel nostro piccolo di presentare quello che è stato
fatto nella città di Brescia.
Brescia è una
città di 190.000 abitanti con 150.000 veicoli registrati e 90 chilometri di
piste ciclabili, anche se, a dir la verità, devono essere sottoposte a
revisione perché molte di queste sono poco praticabili e hanno numerose
interruzioni.
Abbiamo partecipato
al progetto CIVITAS, quindi tramite i soldi che ci metteva a disposizione
l'Unione Europea riprenderemo anche il discorso della sistemazione delle piste
ciclabili e la cartellonistica che è carente lungo le stesse piste ciclabili,
ma una osservazione preliminare va fatta: Brescia è ritenuta una delle città
più motorizzate d'Italia - c'è anche un detto: “al bresciano tocca la moglie ma
non la macchina” - e questo la dice lunga sulla passione che ha il cittadino di
Brescia per la propria macchina. L'ultimo modello di autoveicolo che viene
lanciato sul mercato, a Brescia il giorno dopo c'è.
Al di là di tutto
questo, abbiamo anche un pò di ciclisti che vanno sulle piste riservate.
Inizio subito a
descrivere il servizio di bike sharing che abbiamo chiamato “Bicimia”.
Ogni postazione
del bike sharing ha a fianco un totem con un cartello che indica tutte le
postazioni che sono distribuite in città e con una telecamera di controllo e un
pulsante per chiamare in caso di emergenza la centrale operativa che risponde a
qualsiasi esigenza.
I dati che vi
riporto sono riferiti alla situazione odierna: sono attive 23 postazioni e 230
colonnine. Abbiamo a disposizione 1.500 biciclette e abbiamo registrato oltre 2.100
abbonati.
Il numero degli
abbonati ha raggiunto quasi il limite in termini di garanzia di un servizio
efficace ed efficiente, per questo ne stiamo progettando lo sviluppo
all'interno della città. Per ora invece il servizio è concentrato nel centro
storico della città e lungo il “ring”, la prima zona oltre la parte centrale
della città.
Con il sistema
elettronico (quindi a tessera magnetica), ovviamente, siamo in grado di offrire
una serie di servizi, oltre ché raccogliere i dati che ci servono per
monitorare istantaneamente il sistema, cosa che invece che non avviene con i
sistemi meccanici a chiave di altri bike sharing.
L'utente tipo è
fatto più da uomini che donne. La fascia di età, come ho visto in altre città, di
chi utilizza di più il bike sharing è compresa tra i venti e i quaranta anni,
ma anche tra i quaranta e sessanta anni c'è un bel numero di utenti; oltre
queste due fasce d’eta, l'uso diminuisce. Indagando sulla residenza - che è un
dato importante – sappiamo che oltre ai cittadini residenti a Brescia, ci sono
molti iscritti che provengono dall'area urbana della provincia e qualcuno anche
dalla regione quindi, diciamo, è un servizio che è utilizzato non solo dai
cittadini residenti e molti vengono con il treno e utilizzano poi la bicicletta
per recarsi in altre zone della città.
Per spingere ancora
di più sull'utilizzo del bike sharing nei percorsi casa-lavoro, stiamo pensando
di migliorare le stazioni ai parcheggi scambiatori, che probabilmente mancano
di elementi di riparo per i momenti in cui c'è pioggia.
Per quanto
riguarda i tempi di utilizzo delle biciclette, avendo a disposizione 45 minuti
gratuiti, nel 93% dei casi non viene superata questa fascia; in pochi si
spingono oltre, e giustamente, perché hanno la possibilità di depositare la
bicicletta e prelevarne un'altra, azzerando il tempo.
Degli ultimi
dati: ottantunmila sono i chilometri presumibilmente percorsi dall'inizio del
servizio che è entrato in vigore da giugno del 2008; il tempo medio di noleggio
è di dodici minuti, quindi un utilizzo veramente veloce, immediato e che si
sposa alle dimensioni del centro storico, attraversabile in dieci minuti.
Accennavo già ai
progetti di sviluppo. Visto che si è riscontrato un successo piuttosto ampio, è
previsto ed è già finanziato, con fondi
sia statali che regionali e comunali, un ampliamento in ambito urbano di altre
290 colonnine. Ovviamente, avendo programmato che nel 2013 avremo a
disposizione la nostra prima linea di metropolitana, aggiungeremo altre 90 colonnine
in corrispondenza del percorso di tredici chilometri della metropolitana.
Abbiamo poi coinvolto i Comuni della prima cintura, con i quali abbiamo avuto
parecchi incontri e questi si sono dimostrati molto interessati al servizio di
bike sharing e quindi pensiamo di andare oltre al territorio bresciano con altre
150 colonnine.
L’altra azione del
progetto Bicimia, oltre al bike sharing, è quella relativa all’apertura della
struttura-parcheggio adiacente alla stazione ferroviaria con seicento posti per
biciclette e una trentina anche per i ciclomotori.
L’iniziativa nasce
da una richiesta avanzata con grande forza da chi utilizzava la propria
bicicletta, lasciava la bici in stazione e poi non la ritrovava più, oppure ne
ritrovava solo qualche pezzo. Ora, con questa bicistazione, l'utente possiede
una tessera, accede ad un ingresso con porte tipo quelle di una metropolitana e
deposita in sicurezza il mezzo. L’abbonamento alla bicistazione costa dieci
euro al mese e l'utente può uscire ed entrare quante volte vuole e può
usufruire anche di una zona di manutenzione per le piccole riparazioni.
Questa
struttura, sorta sulle rovine del vecchio parcheggio, sta avendo un grandissimo
successo perché offre le risposte alle richieste di una postazione sicura,
coperta e accessibile anche in orari notturni.
Si parlava di
furti, mi fa piacere che il collega di Siviglia se ne stia occupando nella sua
città. Il primo obiettivo dell’amministrazione di Brescia in tema di mobilità
ciclistica è realizzare piste ciclabili sicure; il secondo è il potenziamento
dei parcheggi; il terzo risolvere il problema dei furti di biciclette.
Quest'ultimo è
un problema molto sentito dall'utilizzatore della bici e molte volte mi sento
dire dal un cittadino che non usa la bicicletta, per andare in centro o comunque in un altro posto,
perché ha paura che gli sia rubata.
I furti avvengono
quotidianamente, ed è per questo che abbiamo pensato di aderire al Registro
delle Biciclette Italiano. Ciò comporta per il ciclista di dotarsi di una
semplice, ma efficace, targa che si
applica sulla bicicletta. In aggiunta c’è anche un libretto, tipo quello del
ciclomotore, dove sono registrati tutti i dati sia della bicicletta sia del
proprietario. Raccolti i dati, ci si registra sul sito web di riferimento, dove
è anche possibile mettere la fotografia della bicicletta. C'è un Numero Verde a
disposizione - per chi non ha internet o non ha l'accesso attraverso il sito - e
quindi il servizio è completo e dopo due anni di utilizzo a Brescia abbiamo
ottenuto dei risultati strabilianti, anche in termini di deterrenza.
Ad oggi a
Brescia abbiamo targato 2.500 biciclette. Ragionando su base annua abbiamo
ridotto i furti, che si attestano ora a circa l'8% del parco circolante, mentre
i furti delle biciclette di Bicimia rimangono al disotto dell'1%.
Il valore della
targa per biciclette è collegato, soprattutto, al servizio di recupero e
riconsegna al proprietario: all’inizio siamo riusciti a riportare un 50% delle
biciclette rubate che erano targate mentre ora, con i ladri che si sono fatti
più furbi, riusciamo a restituirne il 30%.
Si ottengono
risultati perché possiamo contare sull'assistenza dei vigili urbani che, avendo
accesso al data base, recuperano le biciclette anche se non hanno più la targa,
risalendo all’oggetto rubato attraverso la marca, o il numero di telaio o
attraverso la fotografia.
Volevo però
finire con una piccola polemica perchè, dopo due anni di introduzione di questo
tipo di servizio contro il furto delle biciclette, solo poche altre città, pochi miei colleghi
mobility managers e poche associazioni si sono date da fare, non dico per
utilizzare lo stesso sistema, ma per far decollare iniziative simili. Molti
hanno fatto finta che il sistema non
esistesse; molti hanno avuto pressioni - e qui possiamo dirlo - da parte di
negozianti che hanno aderito e poi non hanno effettuato il servizio, forse, per
il fatto che più bici si rubano più poi se ne potrebbero vendere. I costruttori
di biciclette non hanno mai aderito al progetto, seppur gli avessimo proposto
di prevedere la possibilità di apporre la targa prima ancora di venderla, che
sarebbe la cosa migliore.
Le uniche città
che ci hanno affiancato sono alcune dell'Emilia Romagna come Parma, Modena e
Reggio Emilia, che forse sono un pochettino più attente e sensibili.
La situazione mi
preoccupa da una parte e mi da un po’ fastidio dall'altra perché, comunque, se
ci teniamo a diffondere la cultura della bicicletta, anche il problema dei
furti è un fattore da affrontare con decisione.
Arcangelo
Merella
Amministratore
Delegato - Infomobility (Parma)
La prima
considerazione che ho fatto sentendo i primi interventi di questa mattina è che
c’è un valore che accomuna tutti quelli che si occupano seriamente dei problemi
della bicicletta e riguarda sostanzialmente il fatto di dover considerare come
elemento di fondo proprio il problema culturale: per l’espansione dell’uso
della bicicletta come mezzo di trasporto nelle città bisogna fare proprio un
salto di cultura di carattere generale, che investe gli stili di vita e i
comportamenti individuali, ma anche un salto in avanti nella nostra cultura
della mobilità.
E’ significativo,
appunto, che i risultati migliori in assoluto - salvo il caso di Siviglia, che
è una new entry, un caso eccezionale anche per la rapidità con cui ha raggiunto
risultati di questa natura – siano ottenuti nei Paesi del Nord, dove la cultura
della bicicletta come mezzo di trasporto è ben radicata. Lì le città sono fatte
- e gli spazi sono fatti e studiati o rifatti e ristudiati - per l’uso della
bicicletta; da noi invece è tutto molto più impegnativo.
Da noi prevale
ancora un uso della bicicletta come mezzo di intrattenimento, del ciclista
della domenica. Si scoprono poi tutti cittadini entusiasti della bicicletta
durante le domeniche ecologiche, con le piazze e le strade invase; subito dopo
la bicicletta viene rimessa da parte e si ritorna, prevalentemente, alla
macchina che, come è noto, resta il mezzo di trasporto più in uso nelle nostre
città.
Il fatto nuovo,
però, è che la bici inizia a non essere più vista solamente come una moda del
momento. Ciò sembrerebbe emergere in alcuni contesti italiani (qualcuno citava
prima l’Emilia Romagna a cui ci aggiungerei buona parte del Veneto dove
effettivamente la bicicletta comincia a diventare un mezzo d’uso abbastanza
diffuso) ed è chiaramente testimoniato da grandi città come Parigi, Madrid,e e
Barcellona, dove l'uso della bicicletta sta diventando veramente un fenomeno di
massa.
Sul magazine del
Sole 24 Ore c'era una piccola notizia che riguardava Boston. Stiamo parlando di
una città fatta per le macchine, ma che sta scoprendo anch'essa l'uso della
bicicletta e dove parte un programma di bike sharing con 2.500 biciclette.
Devo dire che
non conoscevo il caso di Siviglia, che è effettivamente un caso studio e lo è
per la rapidità con cui si sono ottenuti determinati risultati e per la
capacità nell’adottare lo strumento urbanistico e utilizzarlo come strumento
per radicare abitudini di tipo diverso. E’ vero che l'accostamento con Expo 2015
non è un accostamento casuale; credo che Milano
abbia davanti a sé un’occasione straordinaria per potersi trasformare,
partendo dalla coraggiosa iniziativa del bike sharing, in una città dove è
possibile usare la bicicletta in modo molto più attivo e diffuso.
Altro caso paradigmatico
è il caso di Londra, dove accorte politiche di mobilità ampiamente note come la
congestion charge hanno fatto crescere nel giro di pochissimi anni in modo
esponenziale l'uso della bicicletta, tant'è che recentemente un giornale
locale ha scritto che il sistema sta
andando in crisi a Londra perché c'è carenza di almeno 100 mila posteggi per le
bici e, non vorrei dire una cosa inesatta, ma se non ricordo male London for
Transport ha deciso di stanziare 150 milioni di sterline per poter adeguare la
città alla ciclabilità. Insomma, anche per Londra possiamo probabilmente dire
che la battaglia dal punto di vista culturale è stata vinta.
L'altro aspetto
che voglio sottolineare, prima di passare al caso Parma, è che questa non può
essere una scelta che prescinde da strumenti di pianificazione urbanistica. Alcune
città italiane si sono dotate di un Biciplan, uno strumento non molto dissimile
dal piano a cui prima faceva riferimento Siviglia, ma il Biciplan non può
essere un “addendum” al Piano Urbano della Mobilità, deve essere uno strumento interno
al Piano Urbano della Mobilità, che a sua volta deve condizionare il Piano Urbanistico
comunale. Oggi avviene un processo inverso: il Piano Urbanistico comunale decide
dove sono gli insediamenti, quale è la rete viaria; poi creo il Piano della Mobilità
e poi ci attacco dietro anche il Piano della Ciclabilità.
La priorità è
definire cosa sta in alto nella scala gerarchica della mobilità delle aree
urbane. E’ questa la prima riflessione da fare, che non è uguale dappertutto.
Non è uguale a Genova, dove ho fatto l'Assessore per dieci anni, “gerarchizzando”
le modalità di trasporto senza aver mai messo la bicicletta al primo posto
perché oggettivamente il territorio non si presta per questo uso (però abbiamo
introdotto, con un po' più di fantasia, dei sistemi di risalita quasi fossero
degli ski-lift.). In altre parti, però, ad esempio in Pianura Padana o nelle
aree dove lo spazio c'è o lo si può ricavare, non è pensabile che non si metta
ai primi posti della gerarchia di mobilità la bicicletta, trasformando il
territorio attraverso un’accorta revisione degli strumenti urbanistici.
Detto questo,
vediamo qualcosa sulla città di Parma perché credo che anche i ragionamenti
vadano inquadrati sulle dimensioni effettive di una città perchè i casi di
successo, o sono casi straordinari come pare sia appunto quello di Siviglia,
oppure sono accompagnati da due cose, la tradizione da un lato e la disponibilità
di territorio dall'altra.
Festeggiando in
maniera adeguata la “mobility week”, la settimana della mobilità sostenibile,
ho coniato uno slogan con cui vorrei fosse caratterizzata la mobilità a Parma;
ho introdotto il concetto, che non credo sia una novità, di “slow city”, immaginando
un modello di città che offra di sè un'immagine molto dolce e rassicurante, in
contrapposizione, se vogliamo, alla “ fast caos city”, che è la città che
invece tutti quanti conosciamo.
Parma è una
città piccola perché ha una dimensione 261 kmq, ha 182.000 abitanti ed è il
centro di un’area provinciale di circa 425.000 abitanti. Ha un alto indice di
occupazione; è una città benestante dove per anni la ricchezza è stata un
fattore vero. Ha una popolazione studentesca che per quel tipo di città è
significativa: sono oltre trentamila gli studenti che vivono prevalentemente in
un campus creato ad hoc non nel centro della città; in centro, invece, sono
rimaste alcune facoltà umanistiche. Il tasso di motorizzazione è abbastanza
alto; essendo una città con un reddito pro capite alto, di macchine di grossa
cilindrata c'è ne sono molte; ci sono molti mezzi commerciali anche per la
presenza dell'industria dell'agroalimentare e del manifatturiero; c'è una bella
flotta di bus, con performance ottime in termini di utilizzo e che si sta progressivamente
caratterizzando per la presenza di mezzi a basso impatto ambientale; è
cresciuta la rete filoviaria e si sta ampliando la rete metanizzata.
Ci sono molte
bici - si stima che siano oltre 60.000 le biciclette dei cittadini di Parma -
con un'incidenza significativa di furti del 10%. Seimila biciclette l'anno spariscono
e le misure fin ad ora adottate si sono rivelate inutili, ivi compresa quella
illustrata dall'amico di Brescia di “Bicisicura” che non ha avuto successo
perché esiste una certa diffidenza. Siamo tutti molto interessati a vedere se
dal punto di vista della tecnologia è possibile trovare soluzioni migliori per
risolvere il problema dei furti. Barcellona ha usato un sistema tecnologico e
io ho cercato di farlo sperimentare ma mi pare che si sia ancora lontani in
termini di rapporto costo e efficacia.
A Parma abbiamo 3.600
posti parcheggio distribuiti nelle rastrelliere. Il servizio di bike sharing
conta su undici postazioni con, in tutto, circa 220 colonnine; ora è in fase di
raddoppio e di espansione. Vi sono 87 chilometri di piste ciclabili, che contiamo
di portare a oltre i cento nei prossimi
anni, con programmi già approvati e previsti negli strumenti finanziari del
comune.
Facendo una
panoramica sulla mobilità sostenibile, il car sharing cittadino è un fenomeno in
crescita che suscita molto interesse. Nella settimana della mobilità
sostenibile abbiamo sperimentato delle campagne che tendono a far iscrivere
gratuitamente gli utenti, non perché devono avere tutto gratis, ma perché ci
interessa che “consumino” il prodotto: hanno sottoscritto l’abbonamento in 270.
Abbiamo fatto così anche per gli studenti universitari e nel giro di poco tempo
abbiamo avuto più di cento iscritti.
L'estensione
della rete dei mezzi pubblici non è enorme (800 km), con una zona a traffico
limitato abbastanza ampia. Difatti tutto il centro è chiuso e tutta l'area di
sosta è tariffata (con riserve per i residenti).
Le stime degli
spostamenti modali – e parliamo di stime perché è molto difficile avere dei
dati certi - riportate nel Piano Urbano della Mobilità del 2005 ci indicavano
una quota di ciclopedonalità pari all'11%, di utilizzo del trasporto pubblico
del 13% e di mobilità automobilistica privata del 76% dell'auto. Nel 2008, a soli tre anni di distanza, i rapporti
sono significativamente cambiati: 19% in bicicletta (è dato certo, certificato
anche da una indagine dell’Unione Europea); 18% con i mezzi del trasporto
pubblico; 63% con l’automobile e tutte le restanti forme di mobilità. Da
rilevare che a Parma ci sono anche molti percorsi e opportunità di spostamento
pedonale; si cammina molto a piedi e oggi stiamo lavorando molto sul “Pediplan”,
uno strumento di pianificazione dei percorsi pedonali e della messa in
sicurezza degli stessi.
Dal Piano d'Area
- scaturito dall'attività di mobility management promossa dall’amministrazione
assieme a trenta mobility manager d'azienda, con un coinvolgimento di oltre
15.000 lavoratori - abbiamo dei dati un po' diversi sugli spostamenti: il 64%
risulta ancora legato all’utilizzo dell'auto e il 13% alla bicicletta.
Naturalmente la
tradizione e la conformazione orografica hanno stimolato l'uso della bicicletta
e hanno indotto l'amministrazione comunale a puntare molto sul suo sviluppo,
con iniziative abbastanza forti, tra cui la chiusura del centro al traffico.
Inoltre, siamo stati aiutati dai finanziamenti cospicui che sono “piovuti”
sulla città di Parma all'atto dell'insediamento dell'Agenzia per la Sicurezza
Agroalimentare, con una destinazione di ben 1.200.000 euro per incentivi sulle
biciclette che ha consentito ai cittadini di Parma di acquistare oltre 12.000
nuove biciclette.
Abbiamo attivato
il servizio di bike sharing da alcuni anni. E’ in continua crescita e oggi
siamo in crisi perché all'aumento degli iscritti e all'aumento dell'uso non è
stato fatto corrispondere uno sviluppo del numero di colonnine e di biciclette per
cui, ad esempio, molti utenti arrivano al mattino in stazione e dopo pochi
minuti la postazione è vuota. La stessa situazione si verifica al campus
universitario e all'ospedale, per cui bisognerebbe veramente fare investimenti
massicci per poter avere risultati ulteriormente in crescita.
Abbiamo già
elaborato un piano (inviato al Ministero dell’Ambiente, che lo valuterà e si
esprimerà per il suo finanziamento con una graduatoria che uscirà a ottobre)
sull'integrazione della bicicletta con tutti gli altri sistemi di trasporto
perché per noi la bicicletta è un sistema di trasporto che sta insieme al
treno, al bus, al car sharing e, anche fisicamente, gli spazi di utilizzo di
questi mezzi devono essere contigui, deve crearsi la possibilità di
interscambio di modo che ognuno possa scegliere il mezzo a seconda delle proprie
esigenze del momento: un pezzo lo faccio in treno, un pezzo posso farlo con la
bicicletta, un pezzo posso farlo a piedi. La creazione di queste piattaforme
plurimodali avverrà nel corso del prossimo anno.
Abbiamo sviluppato
anche il sistema dei Front Office, cioè un punto bici immediatamente sopra un
grosso parcheggio, che è molto usato, e ha riscosso un buon interesse.
Abbiamo
realizzato parcheggi di biciclette all'interno di aziende nell'ambito delle politiche
di mobility management ed abbiamo realizzato postazioni di ricarica per le bici
elettriche.
Abbiamo aperto, da
non molto, un Bike Office alla stazione per dare informazioni a chi è
interessato all’utilizzo della bicicletta, ma anche per offrire servizi
concreti. Parma ha in corso un investimento molto grosso dal punto di vista
urbanistico: il rifacimento della stazione ferroviaria con un progetto
urbanistico dell’architetto Bohigas che coinvolge un nuovo quartiere. Per
realizzarlo, è stato necessario isolare il vecchio corpo della stazione e
realizzare una “temporary station”, quindi una struttura che fa le veci della
stazione e sarà demolita una volta terminato il nuovo progetto.
Approfittando di
questo, abbiamo aperto il Bike Office di cui sopra. In un primo tempo avevamo
proposto alle Ferrovie di siglare un accordo. Avevamo detto: “noi diamo a tutti
i pendolari (abbonati) che arrivano o partono da Parma l'abbonamento gratis al
bike sharing e facciamo un’azione comune di eco marketing; a voi non costa niente,
a noi costa qualcosa, però offriamo un servizio”; loro ci avevano risposto
“bellissima cosa; noi, inoltre, abbiamo problemi che ci pongono i ciclisti per
avere spazio sui treni; possiamo lavorare assieme per offrire servizi
integrati”.
Nella realtà,
poi, abbiamo proseguito da soli, senza di loro, perché la burocrazia e, come
dire, l'ottusità incontrata quando bisogna portare a conclusione questi accordi
è impressionante. Distribuiamo l’abbonamento al bike sharing e abbiamo
organizzato in prossimità della nuova stazione una piattaforma plurimodale dove
c'è la macchina del car sharing, la bicicletta, il treno, il taxi, le linee di
trasporto pubblico urbano ed extraurbano.
Ora stiamo anche
cercando di dare una risposta al problema, molto diffuso, della carenza di
spazio per il parcheggio delle biciclette. Vi sono già oltre mille biciclette
che sostano presso la stazione e, in attesa di avere una velostazione per 2.000
biciclette, grazie all'aiuto degli amici di Brescia con cui siamo stati in
contatto e ci hanno dato molte idee, realizzeremo entro l'anno un corpo
aggiuntivo di “temporary station” dove riusciremo a parcheggiare, esattamente
con quel sistema di accesso con tornelli meccanizzati, almeno 4/500 posti. Fra
due anni, quando sarà smantellato, riuseremo questo sistema nella nuova
stazione o in qualche parcheggio di interscambio.
Il nostro
obiettivo previsto nel Biciplan è di portare lo split modale della bicicletta
dall'attuale 19% al 30% in quattro anni. Non è facilissimo essendo una quota
molto alta, ma secondo me è un obiettivo che raggiungeremo, o almeno ci avvicineremo
molto.
Mi avvio alla
conclusione indicando altre iniziative importanti: i programmi di biciclettate
domenicali su percorsi turistico-culturali; la mobility card, ovvero una tessera
di fidelizzazione con sconti presso cicloriparatori, negozi di abbigliamento
sportivo e per avvenimenti sportivi servizi che ci consente di tenere contatti
continui con 36.000 iscritti e stiamo evolvendo questo sistema verso una “carta
multiservice” con un progetto molto impegnativo che stiamo portando avanti con
IBM attenendoci al concetto di “smart town” basato su una carta che dia accesso
a tutti i servizi di mobilità e ad altri servizi del Comune (progetto molto
costoso e molto impegnativo ma che contiamo di realizzarlo); programmi per
ridurre l'incidentalità; iniziative per mitigare il problema dei furti delle
biciclette; lo studio e l'analisi della profilazione dei ciclisti, intesi come
momenti importanti per poter poi predisporre una offerta adeguata alle
aspettative; l'ampliamento delle rastrelliere per biciclette; eventi e campagne
relative alla sicurezza; azioni di ecomarketing; piani di spostamento
casa-lavoro e casa-studio anche per implementare l'uso della bicicletta; il
bicibus, che riprenderemo perchè è una iniziativa interessante e va molto
incoraggiata, ma non solo questo, in quanto lavoriamo nelle scuole con le
associazioni per accrescere consenso e organizziamo la “Festa di Primavera” per
i ragazzi che vanno a scuola in bicicletta o con il bicibus.
Ultimissima
cosa: partecipiamo a programmi dell’Unione Europea. Uno è CARMA, un
sottoprogramma di STEER in cui collaboriamo con Eindhoven, Londra, Goteborg e
Budapest e ha come scopo quello di impegnarci per tre anni nel diffondere l'uso
della bicicletta attraverso un’analisi attenta di alcune aziende pubbliche e
private.
Paolo Gandolfi
Assessore alla
Mobilità - Comune di Reggio Emilia
Volevo fare una
riflessione legata ad un preciso aspetto. Noi abbiamo sviluppato una rete
ciclabile molto diffusa perchè arriviamo a sommare 150 chilometri di piste e,
sostanzialmente, abbiamo raggiunto quello che ci potevamo aspettare di
raggiungere in una prima fase d’azione che consiste nella creazione di una cultura
prevalentemente politico-sociale. Abbiamo cioè ottenuto la disponibilità della
città a muoversi in bicicletta e abbiamo superato il passaggio caratterizzato
dai più forti investimenti per la creazione delle infrastrutture e degli spazi per la bicicletta.
Oggi dobbiamo
affrontare il problema di come andare avanti. Il nostro modal split relativo
alla bicicletta è calcolato intorno al 16% e i tecnici della società Polinomia
ci hanno detto che, prevedendo lacrime e sangue, potremo raggiungere nel 2015
il 17 %. Io ho più fiducia e sono convinto che gli spazi di movimento siano
maggiori, però devo essere sincero e la domanda che mi pongo oggi e che
sottopongo alla vostra riflessione è cosa serve e come si fa, una volta
posizionati ai vertici delle classifiche nazionali per l’uso della bicicletta,
a compiere il salto di qualità e raggiungere livelli molto alti? E’ su questo
tema che concentrerò il mio intervento.
A Reggio Emilia
le caratteristiche territoriali sono simili a quelle di Parma; solo il
formaggio è più buono, ma la città è praticamente identica!
Il nostro Piano
della Mobilità, che è stato approvato nel maggio scorso e contiene i dati e le
analisi del 2006 e del 2007, punti a degli obiettivi normali per una cittadina
della Pianura Padana, cioè ridurre l'inquinamento atmosferico, la congestione
del traffico e l'incidentalità. Naturalmente, la strategia più forte in
assoluto per ottenere tutti e tre questi risultati è quello di puntare sulla
ciclabilità, tra l'altro in una città medio-piccola dove abbiamo un trasporto
pubblico peggiore di quello di Parma (abbiamo una ripartizione modale del
trasporto pubblico intorno al 12%).
Come dicevo, i
dati del 2006 di Reggio Emilia parlano di un 16% di spostamenti in bicicletta e
150 chilometri di piste ciclabili che, durante la loro realizzazione, ci hanno
fatto confrontare con una serie di problemi in termini di qualità e di
continuità.
Siamo stati
indicati al secondo posto in termini di indice di ciclabilità nel rapporto
Ecosistema Urbano 2008 di Legambiente, ma oggi dobbiamo andare oltre. Diciamo
che abbiamo come punto di riferimento alcune città europee delle dimensioni di
Reggio Emilia, con la stessa propensione allo sviluppo e alla crescita economica
e un modal split ciclistico maggiore del 20% seppur in condizioni
meteo-climatiche più sfavorevoli. Non sono città dove si va in bicicletta
perchè non c'è altra possibilità, ma città dove la bicicletta rappresenta una
scelta moderna ed efficiente.
Il 35% degli
spostamenti a Reggio Emilia avvengono entro i 3 chilometri, e questo è un fatto
importante perchè è stato detto più volte che questa distanza rappresenta la
soglia ideale ove la bicicletta risulta il mezzo più ecologico, più economico e
anche più efficiente dal punto di vista trasportistico. In queste situazioni,
usare la bicicletta è una scelta dettata dal raziocinio e non solo dalla speranza,
dalla volontà o dal cuore.
Abbiamo un forte
sistema di limitazioni al traffico e di regolazione alla sosta - forte nel
senso che la ZTL (zona a traffico limitato) è molto estesa, vi sono isole
pedonali e la sosta a pagamento è applicata quanto serve per dissuadere l'uso
dell'automobile come mezzo di mobilità interna all'area urbana.
Negli ultimi due
anni, così come credo per tutti i Comuni, si è ridotta moltissimo la nostra
capacità di investimento, prevalentemente a causa del Patto di Stabilità.
Paradossalmente, ho catalogato questa riduzione negli investimenti come uno dei
vantaggi a favore della ciclabilità perché, tra le modalità di trasporto,
l'investimento sulla ciclabilità è quello più economico in assoluto. Rimangono,
ovviamente, dei problemi perché non si può smettere di fare tutto il resto e
concentrarsi solo sugli interventi per la bicicletta e perchè le difficoltà
economiche incidono anche in termini di programmazione di spesa, però almeno si
può dare un buon impulso a questo settore della mobilità.
Io ho fatto la
campagna elettorale sei mesi fa e quasi tutti i partiti, contrapposti al
nostro, hanno fatto la campagna elettorale
contro i restringimenti di strada che, inevitabilmente, sono conseguenti
all'adozione ad una serie di scelte costruttive per quanto riguarda la rete
ciclabile. In una città medio-piccola, benestante e senza altri grandi problemi,
è chiaro che anche il tema della crisi non si è sentita in modo particolarmente
pesante e, forse è triste, ma alla politica non resta altro che occuparsi del
fatto che le strade siano state ristrette di ottanta centimetri. Su questo c'è in
corso un grosso scontro di livello sociale e credo non lo si possa dare come un
elemento acquisito.
Quali sono gli
svantaggi tipici di Reggio Emilia, ma anche di altri centri analoghi? Sicuramente
la storia della città ha remato contro; nel suo essere fatta e pensata per l'automobile
crea un ambiente ostile su cui bisogna lavorare molto. Cito una cosa che
classifichiamo tutti come progressista: la legge urbanistica della Regione
Emilia Romagna del 1975, una delle prime in Italia, determinò gli standard
urbanistici di parcheggio che sono praticamente gli stessi ancora oggi. Le
città crescono e ogni cittadino, stando
a quegli standard urbanistici, ha diritto ad un posto auto in centro, due a
casa, uno sotto casa per gli ospiti, uno al cinema, uno all'ospedale e così
via. E’ quindi ovvio che noi viviamo ancora all'interno di una cultura, che un
pochino cambia, ma che per lo più parla quel linguaggio.
Abbiamo una
grossa limitatezza del nostro spazio pubblico e la prima scelta drammatica per
un assessore alla mobilità di un Comune come il nostro è relativa a dove
mettere le biciclette: assieme ai pedoni, con tutti i problemi che ne
conseguono per la convivenza; in strada, con problemi di scurezza; oppure si restringe la strada e ciò crea grandi
discussioni. La limitatezza dello spazio pubblico è oggi un vero problema, non
tanto per far crescere la rete, perchè fare dei chilometri di piste ciclabili
in campagna è anche facile; il punto è che, dove serve di più, fare dei chilometri di rete ciclabile ben
fatta è molto difficile.
Altro elemento
negativo: la debolezza - o quasi inesistenza - di politiche nazionali e
regionali. Non è una lamentela, però il Codice della Strada è arretrato di 20-30 anni rispetto alla pratiche tecniche
delle amministrazioni locali. E’ necessario aggiornarlo e, se non vogliono
ascoltare i Comuni, prendano le proposte della Fiab, ascoltino gli esperti
della materia e producano quelle innovazioni nel codice che servono a risolvere
molte delle questioni oggi sul tappeto: sappiamo i problemi che abbiamo avuto -
non so cosa abbiano deciso di fare a Parma
o in altre città - rispetto al tema delle bici contromano nel centro
storico; noi le consentiamo e speriamo che tutto ci vada bene. In generale,
siamo sempre soggetti a contenziosi; agiamo sul filo della legalità e non è
giusto che sia così. Ora l’alternativa più sicura è non fare nulla, rimanere
fermi, immobili e non far nulla per le biciclette. Altrimenti, bisogna forzare
alcuni casi.
Per la questione
degli investimenti, dobbiamo dire che non esiste alcun programma nazionale ed esistono
limitatissimi programmi regionali dell'Emilia Romagna di investimento per le
piste ciclabili. Io non pretendo che mi paghino le strutture del mio comune, ma
se devo collegarmi ad un altro comune, se qualcuno mi desse una mano, questo
potrebbe essere utile visto che, per esempio, le città di Reggio Emilia e Parma distano tra loro solo
ventisei chilometri.
Alle resistenze
e ai condizionamenti culturali sfavorevoli di cui già parlavamo, aggiungerei il
fatto che la pubblicità rappresenta sempre l'automobile come un mezzo che viaggia solo in territori
sconfinati e senza problemi. E’ ovvio che abbiamo un condizionamento
sfavorevole.
Confermo che i
fattori economici non sono rilevanti. Non può essere questo l'argomento che impedisce
lo sviluppo della ciclabilità. La percentuale di investimento di un Comune come
Reggio Emilia - che ha 150 milioni di euro di investimenti all'anno da
distribuire su tutto, dalle manutenzioni alle scuole, e con 1,5 milioni
all'anno riesce a mantenere e garantire quel livello di avanzamento della
ciclabilità che abbiamo – dimostra che le risorse necessarie allo sviluppo e
alla manutenzione delle rete si possono trovare.
C'è infine da
tornare sul fattore strutturale, in particolare relativo alla disponibilità di
spazio pubblico che è molto limitato, a cui va affiancato un tema molto
importante soprattutto nelle grandi città che è quello della sosta. Il primo
vero ostacolo è quello di eliminare in gran parte la sosta su strada e sappiamo
quanto sia difficile; però, probabilmente, quello della sosta è il primo spazio
da conquistare, l'hanno dimostrato a Siviglia
e lo fanno in più parti in Europa.
I fattori
culturali: attenzione, perchè secondo me rispetto a 5/10 anni fa a Reggio
Emilia, non so se a Milano vale lo stesso, sento un clima di arretramento, di
caduta di tensione e attenzione. Si fa più fatica ad avere le masse critiche
che ogni tanto ti danno una mano a ricordare alla tua città che il problema
esiste. Noi, per esempio, abbiamo il bicibus che ormai è attivato da alcuni
anni e ci sono 500 bambini che tutto l'anno fanno il bicibus in quattordici
scuole diverse (più o meno un 35% delle scuole della città). Abbiamo avuto un
picco due anni fa e adesso cominciamo ad avere un problema con i volontari che
seguono i bambini. E’ un'esperienza di grande successo, molto riuscita e
bellissima; la presentiamo ovunque, ma anche in questo ambito si nota un certo
calo di tensione.
Per questo
motivo, stiamo lavorando molto sulle campagne di informazione. Abbiamo
coinvolto i medici pediatri per cercare di parlare con le scuole; abbiamo fatto,
per esempio, della convivenza ciclisti-pedoni un tema che vogliamo affrontare a
fondo.
Il Biciplan,
dato per buono quello che ha detto il collega di Parma, è figlio del Piano
della Mobilità, che “comanda” il Piano Strutturale. Noi abbiamo approvato il
Piano della Mobilità e poi il Piano Strutturale e dentro al Piano della
Mobilità è stato scritto: “mai più insediamenti dove non ci siano linee di
trasporto pubblico”. Ci siamo così dati un pochino le regole di tipo
urbanistico, per evitare che la domanda di mobilità automobilistica cresca in
futuro in ragione della dispersione urbana.
Nel Biciplan
abbiamo introdotto il tema delle ciclovie, cioè delle ciclabili preferenziali,
e oggi siamo arrivati a questo paradosso: la città finora ha realizzato prevalentemente - anche in area urbana, anche
nella zona più interna - delle ciclabili in sede propria, generalmente
bidirezionali, spesso ciclopedonali con la convivenza coi pedoni, e questo per
ragioni di spazio. I cittadini chiedono questo tipo di realizzazione perchè la “domanda
sociale” non parte dal ciclista che va a lavoro (quello che per il Comune di
Siviglia è il soggetto principale da contattare), ma da chi vive nella strada oggetto
dell’intervento. In realtà, molto spesso, ai ciclisti urbani serve altro. Abbiamo
avuto molti incontri con la Fiab per definire quale sarebbe il modello migliore
e, sebbene i cittadini fanno molta fatica ad accettarlo, questo modello si
avvicina molto a quanto si realizza nelle aree del Nord Europa: lo spazio
stradale, uno spazio condiviso, separato
e senza ostacoli fisici (che diventano pericolosi per ciclisti), ma pensato in modo che non diventi
un parcheggio. Diciamo che, dopo tanti studi, la corsia bici nello spazio stradale
sembra risultare lo strumento più efficiente ed efficace.
Vi ho parlato
del freno sociale, ma c’è anche il fattore titubanza di cui tenere conto. Noi
vogliamo superarla e, ad esempio, nelle ciclovie principali facciamo la ciclopedonale
per il “ciclista tartaruga”, e facciamo la corsia bici in strada per il
“ciclista lepre” e proviamo a reggere su questa cosa. Ciò significa dover
mettere sostanzialmente mano a gran parte delle ciclabili fatte, non dieci anni
fa, ma due anni fa perchè questa è una innovazione che abbiamo introdotto dal
punto di vista tecnico acquisendo anche competenze specifiche. Un altro grosso
sacrificio lo facciamo nelle strade principali, quelle con traffico che può
andare dai 55.000 ai 30.000 veicoli al giorno, in cui ci scordiamo le corsie
bus. Come si dimostra in molti casi, la bicicletta è in realtà un competitore diretto
del trasporto pubblico e riteniamo, alla fin fine, che la bicicletta costi
meno, anche alla collettività oltre che alla persona. E’ molto brutto da dirsi,
ma nelle condizioni attuali non possiamo fare altra scelta.
C'è il tema
della circolazione nel centro storico in contromano che ci ha dato parecchie
“gatte da pelare” però, alla fine, si è consolidato. E’ una questione di consuetudine
e io dove vado in Europa fotografo i cartelli e li metto sul mio sito del
comune, così tutti i cittadini che ci accusano di essere gli unici che mandano
le bici contro mano possono vedere che non siamo gli unici “dementi” a fare
questa cosa. Anche in Italia ci sono realtà come Bolzano che ha adottato questo
tipo di scelta ed è meglio che arrivino presto altre città ad assumere queste
iniziative in modo che la modifica del codice stradale arrivi più spontanea.
Questo problema non esiste solo per la circolazione delle biciclette in
contromano, ma anche per tutti i sistemi di regolazione e controllo del
traffico, anche per quelli che hanno una grande efficacia in termini di
sicurezza perché, diciamoci la verità, non si possono mettere i semafori a
velocità, non si possono mettere gli autovelox in ambito cittadino, non si può
fare sostanzialmente niente, dal “cuscino berlinese” alla realizzazione di
dossi.
Manca un
progetto nazionale di sviluppo della ciclabilità ma, almeno, vorremmo chiarezza
sulle cose da fare. Se tu Stato non hai un euro, fai un Codice come si deve,
dacci lo spazio e le regole per fare le cose che ormai abbiamo fatto. Se voglio
raggiungere il 30% di Friburgo, una città di 250.000 abitanti con anche un pò
di collina e la neve tutto l’inverno, noi che a Reggio Emilia abbiamo la neve
due volte l'anno e tutta pianura non lo potremo fare se prima non si risolvono
tutte queste difficoltà.
Un’ultima cosa: del
bicibus vi ho accennato; come vogliamo rilanciare questa iniziativa? Ecco il
manifesto “Manifesto per una mobilità sicura, sostenibile e autonoma nei
percorsi casa-scuola ”. E’ la novità assoluta quest'anno; lo abbiamo appena
finito e lo vogliamo presentare come progetto anche a livello europeo. E' una
sorta di accordo che coinvolge il Comune, tutte le scuole (le singole scuole,
non il Provveditorato che spesso si dimentica di contattare le scuole),
l'Osservatorio Nazionale Sicurezza Stradale, l'associazione dei medici
pediatri, tutti i soggetti che possono avere interesse. Mette insieme tutta una
serie di interventi tra cui il bicibus, le Miglia Verdi, il progetto Pedal.
A noi
interessava arrivare al Mobility Manager scolastico cioè quella persona che
all'interno della scuola fosse il referente delle politiche di mobilità. Attualmente,
se va bene, esiste un referente per plesso scolastico comunicato al Provveditorato,
ma noi abbiamo bisogno di una persona dentro la scuola che ci comunichi i
singoli problemi, le singole disponibilità e si attivi in modo propositivo.
Raffaele Sforza
Responsabile
Mobilità Sostenibile e Ciclabilità - Regione Puglia
In questi anni
anche la Regione Puglia si è rimboccata le maniche cercando di dare centralità
ai temi della mobilità sostenibile e della ciclabilità e ne approfitto subito
per dire che tanti sono gli spunti emersi dagli interventi che mi hanno
preceduto, tipo la mancanza di risorse, la mancanza di legislazione o le
carenze del Codice della Strada.
Io vorrei
ricordare che finché la legge 366 del 1998 esisteva - nel senso che veniva
finanziata, e mi riferisco al 2002 - le Regioni si riunivano periodicamente per
discutere i criteri di riparto e si creava automaticamente un meccanismo di
interazione, di dialogo e di confronto tra le amministrazioni regionali e il
Ministero, che però si limitava ad un ruolo di riparto matematico dei fondi,
freddo e distaccato. Oggi, invece, quella opportunità, pur limitata, non esiste
più perché il Ministero dei Trasporti non eroga più i fondi e quindi è venuto
meno un qualsiasi momento di discussione.
E’ vero che la
Provincia di Milano l'anno scorso ha attivato un coordinamento delle province e
qualche Comune in giro per l’Italia realizza dei tavoli di confronto e
collaborazione con le amministrazioni vicine, però una maggior capacità e una
maggior opportunità di dialogo tra i diversi livelli di governo consentirebbero
anche un confronto migliore sui temi di cui stiamo parlando.
Devo dire subito
che nel 2005 la Regione Puglia, quando si è insediato il governo attuale, nell'ambito della riorganizzazione delle
proprie strutture ha istituito la figura del responsabile mobilità sostenibile
della ciclabilità che svolge tutte le funzioni di cui abbiamo parlato
quest'oggi.
Va dato atto
però alle associazioni - in particolare alla Fiab pugliese, quella di Bari nata
nel 1990 - che con un lavoro appassionato, meticoloso e puntuale negli anni hanno creato un clima favorevole
ai temi della ciclabilità, della mobilità sostenibile più in generale, per cui
prima hanno contagiato l'amministrazione comunale di Bari che nel 2004 si è
insediata con il sindaco Emiliano e quindi hanno collaborato con un assessore
comunale sensibile, aperto e disponibile
a recepire le proposte. L'anno successivo si insediò il nuovo governo
regionale; evidentemente c'era già un clima favorevole e anche la Regione
accolse le proposte di realizzare e nominare qualcuno che si occupasse di
mobilità ciclistica sostenibile. Questa figura, attualmente incarnata nella mia
persona, ha avuto la possibilità e
l'opportunità di sviluppare questi temi all'interno della Regione. Attenzione,
infatti: oggi si è parlato della carenza culturale, della gente che non pedala
e della necessità di convincere le persone; io credo che prima di tutto bisogna
convincere le amministrazioni, gli enti territoriali e locali a fare il loro dovere e dobbiamo
ricordarci che le Regioni hanno il compito di programmare e pianificare, così
come avviene per tutto ciò che riguarda la vita di una Regione (trasporti,
urbanistica, sanità, ambiente, ecc.).
A Bari sono
successe tantissime cose; è avvenuta una piccola rivoluzione a livello comunale
e negli anni sono nate le prime piste ciclabili, i primi mobility manager
aziendali, l'ufficio comunale della mobilità ciclistica. In Regione poi si sono
create le condizioni per ragionare sui temi della mobilità in bicicletta e sul
ruolo che la bicicletta può avere negli spostamenti urbani e turistici.
Negli uffici
regionali abbiamo cominciato a riflettere su alcuni dati - noti altrove e meno
noti in Puglia - ad esempio quelli riguardanti il tema del turismo. Il fatto
che dieci milioni di europei, secondo i dati della European Cyclist Federation
(ECF) facciano le vacanze in bicicletta è un dato che inizia ad interessare a
tutti. Allora, in mancanza di risorse finanziarie proprie dell'amministrazione
regionale, mi sono inventato un progetto di cooperazione internazionale che la
Puglia ha candidato per accedere ai finanziamenti INTERREG gestiti dal
Ministero greco dell'Economia. E’ stata un’idea da pazzi e, visto che il
programma di finanziamento era rivolto al bacino del Mediterraneo, hanno
aderito al progetto le Regioni Puglia (come capofila), Basilicata, Campania e
Calabria, oltre a Grecia, Malta e Cipro.
Cosa abbiamo
fatto? Abbiamo cominciato a ragionare sui grandi temi, cominciando ad
analizzare ciò che esiste in Europa e ad evidenziare tutto ciò che non esiste
ancora in Italia. All'estero tutti sanno che esistono reti ciclabili nazionali,
regionali e locali. ECF propone ormai da una dozzina d'anni EuroVelo, progetto
di grande rete transeuropea con dodici grandi itinerari sulle direttrici
nord-sud ed est-ovest per un totale di oltre 65 mila km. In ItaIia la Fiab ha
proposto un progetto di piste ciclabili nazionale seguendo gli standard di
EuroVelo. Ha quindi ideato Bicitalia che prevede la realizzazione di quindici
grandi itinerari, alcuni dei quali coincidono con i percorsi di EuroVelo,
diventando l’ossatura di una rete che poi dovrebbe integrarsi con le reti
locali.
Visto che del
finanziamento INTERREG Archimed potevano beneficiare le regioni e i territori
del Sud Europa, abbiamo messo a punto questo progetto per individuare gli
itinerari di media e lunga percorrenza di EuroVelo e Bicitalia che passavano
per i territori, le regioni e i Paesi interessati. E’ chiaro che bisognava
metterli insieme, operazione non facile ma molto educativa perché ha insegnato
agli enti a stare assieme al tavolo, con la fattiva collaborazione di ECF e di
Fiab (che erano i soggetti che meglio potevano descrivere gli standard di
riferimento e quale era la visione generale della materia).
Questo progetto
ha consentito di individuare i corridoi che potevano collegare la Puglia con
gli altri territori e, per la prima volta, ogni ente partner ha fatto un
censimento e una ricognizione di tutto ciò che esisteva in tema di ciclabilità,
quindi i piani e i progetti esistenti, le piste ciclabili costruite bene o
male, e altro ancora. Si è cominciato ad avere una conoscenza dell’esistente e
anche delle risorse potenziali, vale a dire tutte quelle forme di viabilità
secondaria che potevano essere riconvertire in piste ciclabili.
Ecco la cosa
interessante anche per la Puglia è stata proprio questa. Abbiamo
individuato ciò che esiste e ciò che
potenzialmente potrebbe trasformarsi in percorsi ciclabili: i tratturi, le
linee ferroviarie dimesse, le strade forestali e di bonifica e le strade di
servizio dell’acquedotto pugliese. Ciò ha consentito anche di iniziare a
ragionare con tutte le istituzioni del territorio, che magari fino al giorno
prima non avevano mai pensato a questi temi. Abbiamo effettuato uno studio di
fattibilità per individuare i cinque itinerari di Bicitalia ed EuroVelo che
passano per la Puglia, di oltre 1600 km, individuando e segnando sulla cartina
tutti i punti di interazione con le altre reti e le strutture di mobilità,
quindi stazioni, porti e aeroporti, perché la cultura della bicicletta si crea
se si offrono le condizioni per cui la gente può andare in bicicletta, può
salire sul treno, arriva per turismo, arriva in aereo con la propria bicicletta
(alcuni anni fa, ad esempio, arrivarono in aeroporto dei francesi in
bicicletta). Lo studio ha consentito di evidenziare come tutte queste dotazioni
infrastrutturali che esistono sul territorio e che formano anche una rete molto
importante di nodi di scambio - stazioni, porti e aeroporti – se non sono
interconnessi alle vie ciclabili, allora è chiaro che esistono delle carenze
notevoli.
Prima si parlava
di Codice della Strada. E’ noto agli addetti ai lavori che il nostro codice è
carente ed è per questo che la Fiab, che ha assistito la Regione Puglia per
tutto il partenariato, ha messo a punto uno studio sulla segnaletica
personalizzata da applicare agli itinerari del progetto CY.RO.N.MED. (Cycle
Route Network of the Mediterranean) e
sia lo studio di fattibilità che il lavoro sulla segnaletica sono documenti
approvati dalla Giunta Regionale e resi immediatamente attuabili, tant'è che
alcuni percorsi sono già stati “tabellati” indicando questi itinerari.
Lo studio
prevedeva alcune cose ma gli effetti di questo progetto sono stati, diciamo,
veramente tanti. E' stato sottoscritto un protocollo di intesa con le cinque
ferrovie regionali della Puglia. Il protocollo ha consentito di eliminare
immediatamente il biglietto supplemento bici ed ha impegnato le cinque
ferrovie, che hanno un contratto di servizi con la Regione, ad eliminare tutti
gli ostacoli infrastrutturali, organizzativi, di comunicazione e tariffari per
facilitare il trasporto integrato bici-treno.
Il progetto ha
anche consentito di far avvicinare delle persone che non c'entravano niente col
progetto a nuove idee. Per esempio un altro assessorato della Regione Puglia ha
finanziato, con un bando dedicato alle idee imprenditoriali dei giovani, alcuni
progettisti sulla base dei risultati di
CY.RO.N.MED. Il lavoro che ne è scaturito ha avuto la sua risonanza,
avendo valutato la fattibilità di collegare con percorsi ciclabili i principali
aeroporti della Puglia - Bari e Brindisi - e proprio entro fine dicembre ci
sarà un incontro in aeroporto almeno per la parte di Bari per iniziare a discutere
di queste soluzioni. Inizialmente la società di gestione dell'aeroporto era
diffidente perchè chiaramente avevano, giustamente, altri interessi, altre
intenzioni; però, poi, quando si vede che il progetto è offerto gratis perché
già finanziato dalla Regione e c'è la possibilità di collegare e quindi di
offrire un servizio a chi viaggia in bicicletta o anche gli stessi lavoratori e
dipendenti dell'aeroporto che vogliono andare a lavorare in bicicletta e ciò
innesca altri meccanismi finanziabili con altri bandi, il favore e l'interesse
al progetto aumenta.
Dei cinque
percorsi che abbiamo individuato con gli studi di fattibilità, la loro
realizzazione, se non sostenuta economicamente, avverrà fra cinquantenni.
Abbiamo allora incaricato la Fiab di
sviluppare e di individuare quale sia la migliore percorribilità in bicicletta
oggi esistente, tra Bari e Napoli, per cui è stata costruita una cartoguida che
attualmente è online sul portale turistico della Regione Puglia e intorno a
questa iniziativa stiamo ragionando con l'Assessore al Turismo per verificare
la disponibilità a stampare
materialmente la cartoguida in guida cicloturistica, segnalando il percorso.
Questo progetto
ha consentito di fare assistenza tecnica agli enti locali. Non so se in Italia
ci sono delle università dove agli studenti di ingegneria o di architettura si
insegna la pianificazione ciclabile; da noi in Puglia non esiste, per cui anche
i migliori architetti e ingegneri non realizzano degli interventi di qualità e
anche quando in Puglia sono stati finanziati dei progetti, purtroppo la qualità
è risultata scadente. Abbiamo allora organizzato, sempre con la Fiab, degli
incontri tecnici con i Comuni per fornire assistenza e spiegare un po' di
“abc”.
Abbiamo anche
prodotto un manuale, forse il primo in Italia prodotto da una Regione, che
presenta tutto il know how possibile. Non è un manuale sulle piste ciclabili
perchè le piste non sono delle protesi da appiccicare sulle strade dove non
devono dare fastidio alle automobili, ma abbiamo cercato di chiarire alcuni
concetti sul sistema di mobilità in bicicletta facendo anche riferimento alle
leggi esistenti. Infatti, il Codice della Strada obbliga l'ente proprietario
delle strade a fare delle piste ciclabili, obbliga a destinare parte dei fondi
delle multe alla mobilità ciclistica, obbliga a fare educazione nelle scuole e
tutto ciò non viene fatto.
Finisco dicendo
che il progetto CY.RO.N.MED. ha permesso di inserire il concetto della rete
ciclabile regionale tra le azioni strategiche del Piano Regionale dei
Trasporti. Inoltre, le norme urbanistiche regionali hanno recepito le proposte
scaturite dal nostro progetto per, almeno sulla carta, tutti i PUG e gli altri
strumenti di pianificazione delle Province devono contenere obbligatoriamente
dei Piani della Ciclabilità. Anche il Piano Paesaggistico ha recepito
CY.RO.N.MED. ed è stato effettuato uno studio di fattibilità per trasformare in percorsi ciclabili il canale
principale dell'acquedotto pugliese.
Abbiamo
organizzato dei progetti di mobility management e sostenuto la Fiab che ha
proposto una modifica di legge per riconoscere gli infortuni in itinere per chi
va in bicicletta al lavoro.
Sono cinque anni
che le autorità pugliesi inaugurano la Fiera del Levante in bicicletta,
lanciando un piccolo segnale in controtendenza che sostiene una nuova cultura
della bicicletta.
seconda parte
“Le politiche a favore della bicicletta in Olanda”
Mario Fruianu
Dipartimento
Trasporti Regionali - Ministero Olandese dei Trasporti e delle Opere Pubbliche,
Direzione Generale Mobilità
Buongiorno a
tutti. Nel mio intervento di oggi descriverò la cultura della bicicletta che
esiste in Olanda.
Nell’Europa del
Nord – e in Olanda in particolare - la cultura della bicicletta è paragonabile
alla cucina italiana, considerata la migliore del mondo: utilizzando
semplicemente gli ingredienti corretti, non è possibile ricreare i piatti
italiani così rinomati e amati in Olanda e in tanti altri Paesi; la cucina
italiana nasce da una propria storia e da uno specifico retroterra culturale.
La stessa cosa si può dire per la cultura della bicicletta in Olanda: se io vi
mostrassi un bellissimo video promozionale, pur trovandolo splendido, non
potreste replicarne (in modo identico) il contenuto nel vostro Paese.
Ora proietterò
un video che non ha nulla di promozionale o commerciale, ma che testimonia una
normale giornata lavorativa da noi in Olanda. L’invito che vi faccio è che da
questo video e dalla mia presentazione odierna voi siate capaci di estrapolare
quegli elementi e quei contenuti che possono adattarsi alla cultura italiana.
L'Olanda è il
primo Paese in Europa per numero di biciclette; ci sono più biciclette (18
milioni) che persone (16,5 milioni). Voi sapete quanto sia piccola l'Olanda e
una delle ragioni principali per cui si usa la bicicletta è che se tutti
avessero ed utilizzassero l'auto, si creerebbe una gran confusione.
In Olanda il 27%
degli spostamenti avvengono in bicicletta. Questa è la media nazionale, con
picchi molto superiori che si registrano nelle grandi città. Ad Amsterdam, ad
esempio, si supera il 50%.
In Olanda
convivono sia la cultura della bicicletta che quella dell'auto. Sulle lunghe
tratte l'utilizzo dell'auto è dominante, ma la bicicletta è in assoluto il
secondo mezzo di trasporto più utilizzato, superando anche il trasporto
pubblico (dopo il Portogallo, l'Olanda è il Paese con la più bassa percentuale
di utilizzo dei servizi di trasporto pubblico).
L'uso della
bicicletta è preminente sulle brevi distanze, ed è per questo motivo che il
governo olandese si concentra e promuove la mobilità sostenibile sugli
spostamenti brevi.
Anche in Olanda,
come in Italia, la congestione del traffico nelle grandi città è il problema
numero uno. In Olanda oggi ci sono più di 7,5 milioni di auto e, in futuro, pur
essendoci già problemi di spazio, si arriverà ad averne 9 milioni. La bici,
quindi, non è solamente una cosa bella, ma è uno strumento essenziale di cui
non possiamo fare a meno se si desidera che la nostra economia dei trasporti
funzioni bene.
Perché si usa la
bicicletta in Olanda? Sono state fatte alcune ricerche per capirne le
motivazioni. La ragione principale è che è divertente, flessibile e si usa
all'aria aperta, così che, specialmente nelle stagioni estive quando il tempo è
bello, la bicicletta è utilizzata per uscire, andare a scuola, a lavoro, per
fare una gita con la famiglia.
Si viaggia in
sicurezza con la bicicletta in Olanda? Se guardiamo le statistiche europee, più
gente esce in bicicletta, più sicuro diventa il suo utilizzo.
La bici è
economica ed è il mezzo più veloce per raggiungere la città, così come avviene
in tante parti di Italia, dove i centri storici delle città sono chiusi al
traffico.
La bici è anche
facile da combinare con altri mezzi di trasporto come il treno.
Un uso frequente
e diffuso della bicicletta produce anche vantaggi alla nostra società in
genere, soprattutto se guardiamo le cose da una prospettiva di attenzione
all'ambiente, a ridurre l’inquinamento e alla nostra salute. E’ per questo
motivo che, oltre ad un programma per facilitare gli spostamenti casa-lavoro,
puntiamo ad un secondo importante obiettivo che consiste nel rafforzare il
legame tra salute e sport (a questo proposito, abbiamo un programma completo di
servizi per la salute, con uno slogan che dice: “trenta minuti di esercizi per
tenere lontano il dottore”).
Se consideriamo
la politica e la strategia dei Paesi Bassi, è interessante analizzare alcuni
elementi, da cui potreste trarre spunto anche per l’Italia.
L’Olanda è un
paese piccolo, che ha una grande tradizione di politica urbanistica. Noi
costruiamo sempre un forte legame tra urbanistica, edilizia e mobilità. Quando
realizziamo dei nuovi edifici, cerchiamo sempre di fornire infrastrutture che
facilitino gli spostamenti con la bicicletta, in modo che le persone possano
realmente scegliere ogni giorno come spostarsi. Abbiamo smesso di contrastare
l’uso dell’auto; non diciamo più alla gente che non deve usare l’auto, perché
rappresenterebbe un atteggiamento di debolezza. La nostra politica è quella di
rendere l’alternativa all’auto privata il più forte possibile: l’uso della bici
dovrebbe essere talmente vantaggioso da essere preferito nella maggior parte
delle occasioni. In termini europei si parla di “co-modality” quando si ha la
possibilità di compiere ogni giorno la propria scelta; si può quindi anche
avere l’auto, ma la si usa il meno possibile.
Andare in bici
deve essere una scelta comoda, sicura ed economica. Le responsabilità per
raggiungere questi obiettivi sono affidate ad una politica congiunta e
concertata: governo nazionale e autorità locali operano insieme e dal 2000 è in
atto un processo di decentralizzazione che ha trasformato in concreto i
processi decisionali che prima erano tutti concentrati ad un livello nazionale.
I soldi per
attuare le politiche di mobilità sono inviati direttamente a dodici province e
sette aree metropolitane. Stiamo parlando di 1,8 miliardi di euro all’anno, da
cui le autorità locali devono dedurre 1,2 miliardi da investire per il
trasporto pubblico; il resto del denaro se lo dividono fra loro. Possono investire
in infrastrutture per le bici, costruire parcheggi, sostenere i servizi di
car-sharing. Il governo centrale non entra nel merito delle scelte; decidono e
province e le aree metropolitane su come spendere questi soldi a livello
locale.
Abbiamo però
anche un piano nazionale, per affrontare al meglio i problemi di livello
nazionale, per esempio per creare infrastrutture per muoversi in bici da
un’area metropolitana all’altra (una sorta di rete di autostrade per
biciclette, con punti ristoro dove bere il caffè al mattino e comprare il
giornale).
Stiamo anche
passando all’era dell’elettricità, con sempre più biciclette utilizzate con
funzionamento a pedalata assistita, in modo da aumentare la velocità con cui i
cittadini si spostano.
Un problema che
ho rilevato nelle città italiane è legato ai parcheggi per le biciclette. In
Olanda li vedete ovunque. Da noi il problema che abbiamo dovuto affrontare
riguardava le stazioni ferroviarie, dove le bici erano davvero tantissime e
ostruivano gli ingressi e i passaggi. Abbiamo quindi realizzato dei grandi
parcheggi davanti a queste stazioni e stiamo continuando in questa attività,
tanto che prevediamo di realizzare altri centomila posti-bici nei prossimi
quattro anni.
Un altro grosso
problema è l’elevata frequenza di furti di biciclette. In Olanda ogni anno ne
sono rubate 800.000. Abbiamo quindi pensato di mettere un microchip nelle
biciclette, in modo che la polizia possa rintracciarle e ci siamo dati
l’obiettivo di ridurre il numero di furti annuali di centomila unità entro il
2013.
Nel 2010
vorremmo attuare una campagna collegata specificamente al tela della salute,
perché andare in bici aiuta a stare meglio ed è dimostrato anche
scientificamente che andare in bicicletta ogni giorno è molto salutare (fra gli
impiegati, quelli che usano la bicicletta si ammalano meno).
Un aspetto che
voglio rimarcare della politica olandese è quello dell’integrazione tra azioni
di ministeri e autorità diverse. Non esiste alcun diktat da parte del Ministero
dei Trasporti, o da parte delle autorità cittadine che si occupano di
viabilità. Creiamo parcheggi, investiamo nel trasporto pubblico, nel sistema
ferroviario; dal punto di vista della sicurezza operiamo con le forze di
polizia per limitare i furti di bici. Il dipartimento per la salute e lo sport,
ad esempio, si occupa dei benefici dell’esercizio fisico; quello
dell’agricoltura mira a sviluppare opportunità nel settore del turismo in
bicicletta; si opera in un’ottica di salvaguardia dell’ambiente anche
sviluppando questo settore di mobilità sostenibile.
Ora, venendo
alle conclusioni, possiamo affermare che muoversi in bicicletta appartiene
appieno alla cultura della mobilità, al pari dell’utilizzo dell’auto, e
dobbiamo rafforzare il più possibile questo concetto.
La bici crea un
ambiente davvero sicuro. In Olanda ogni automobilista è anche un ciclista,
quindi quando guida sa come deve comportarsi per fare attenzione alle
biciclette; ecco perché non abbiamo bisogno di indossare il casco (ricerche
hanno dimostrato che se il casco è obbligatorio, gli automobilisti diventano
più disinvolti perché pensano che chi va in bici sia già al sicuro). La bici è
inoltre una reale alternativa per effettuare gite sicure.
Ricordiamo ci
infine che bisogna investire in infrastrutture per la mobilità ciclistica,
anche se il processo di infrastrutturazione necessita per forza di tempi
lunghi.
Grazie per
l’attenzione. Altre informazioni le potrete trovare sul sito www.fietsberaad.nl
(anche in inglese, tedesco e francese), dove è consultabile la brochure “Cycling
in Holland”.
“Le politiche a favore della bicicletta nella città di
Siviglia”
David Muñoz de
la Torre
Servicio
Observatorio de Sostenibilitad Urbanistica (Siviglia)
Il problema
della mobilità nelle grandi città è evidente. Vi spiego la realtà di Siviglia.
Si tratta di una
città di circa 700.000 abitanti ed una rete metropolitana che copre all’incirca
1.100.000 di abitanti; inoltre, esistono diverse città dormitorio che generano
molti spostamenti.
A Siviglia gli
spostamenti in bicicletta sono in aumento, rispecchiando di fatto
l’andamento di diverse città europee. Si
pensi che negli anni ‘90, lungo le strade di Siviglia non vi erano quasi
movimenti in bicicletta, ma le esigenze di carattere ambientale, legate alle
emissioni che erano particolarmente elevate, ci hanno spinto alla realizzazione
di un progetto di sviluppo sulla mobilità sostenibile.
La prima cosa
che abbiamo fatto è stata la realizzazione di un progetto che prevedeva l’integrazione
della bicicletta con i servizi di trasporto pubblico urbano. Prima di
realizzarlo, abbiamo fatto uno screening per sondare il parere dei cittadini in
merito all’uso della bicicletta. Il 46% dei cittadini chiedeva la realizzazione
di infrastrutture sicure, meno traffico di automobili e più sicurezza.
Abbiamo quindi realizzato
una mappatura delle potenzialità di spostamento all’interno della città
individuando:
- le diverse
tipologie di trasporto urbano presenti;
- le
interconnessioni in città tra i flussi in entrata e in uscita e i punti che avevano
bisogno di maggiori connessioni come, ad
esempio, i centri d’interesse (università, centri commerciali, punti di
aggregazione sportiva, ecc).
Abbiamo avuto la
fortuna che in quegli anni (2000-2005) ero un dirigente del Comune di Siviglia
e abbiamo elaborato il Piano Urbanistico di Sviluppo iniziando a tenere conto
delle esigenze che stavano emergendo in città anche dal punto di vista della
mobilità sostenibile.
La redazione del
progetto preliminare al Piano della Bicicletta è il risultato di un mandato
esplicito del Comune di Siviglia definito nel 2003 attraverso un accordo
plenario.
Nel 2005 il Consiglio
Direttivo della Gestione Urbana ha approvato un documento relativo alle basi
strategiche (una sorta di linee guida) per l’integrazione della bicicletta nella
mobilità urbana di Siviglia. In questo documento abbiamo proposto la
realizzazione di una rete di strade destinate alla circolazione esclusiva delle
biciclette, da ottenere attraverso la progettazione e la realizzazione di otto
itinerari urbani per una lunghezza totale di 77 chilometri.
Ho potuto quindi
inserire all’interno del Piano Urbanistico Generale il Grande Piano della Mobilità
di Siviglia, realizzando un piano parallelo che ha introdotto in concreto la
bicicletta nella realtà urbana. Tale piano sulla mobilità è costato 18.000.000 euro
ed ha permesso poi di realizzare l’intera rete in un anno.
Parliamo di rete
in quanto, grazie a questo piano, con la bicicletta si possono raggiungere
tutti i punti della città , con sicurezza, senza avere la necessità di prendere
l’auto.
Abbiamo poi attuato
una campagna di sensibilizzazione per convincere i cittadini all’utilizzo della
bicicletta. Si tratta di una vera e propria lotta tra la bicicletta e
l’automobile.
La bicicletta
offre dei vantaggi di risparmio economico, di efficacia negli spostamenti brevi
e, sul lungo periodo, di riduzione della congestione urbana derivante dal
traffico. Abbiamo quindi pensato di utilizzare gli stessi metodi utilizzati nel
passato per convincere i cittadini a utilizzare l’auto, ora invece per
rieducarli all’utilizzo della bicicletta.
Per aumentare la
mobilità non basta realizzare strade riservate alle biciclette, ma bisogna
creare una rete di strade alternative e sicure che permettano al ciclista di
trasferirsi da un punto all’altro della città.
La bicicletta
deve avere il suo ambito di circolazione in quanto i cittadini devono percepire
la bicicletta come un mezzo sicuro, economico e sostenibile dal punto di vista
ambientale. Per ridurre i rischi derivanti dall’andare in bicicletta o a piedi
e, contemporaneamente, migliorare la sicurezza stradale negli accessi secondari
della città, abbiamo realizzato delle piste ciclopedonali di due metri di
larghezza su aree pubbliche separate dalla circolazione del traffico veicolare.
Oggi possiamo
affermare che Siviglia sia una città di riferimento per quanto riguarda la
creazione di infrastrutture che favoriscono l’uso della bicicletta come mezzo
di trasporto urbano, sia grazie alle piste ciclabili (più di 120 chilometri di piste
ciclabili bidirezionali, che equivalgono a 240 chilometri di percorsi; di
questi chilometri, solo nel biennio 2006-2007 ne sono stati realizzati 80, con
un investimento di 18 milioni di euro), sia grazie al sistema di bike sharing
che mette a disposizione 250 stazioni per 2.500 biciclette collocate nei
diversi quartieri della città.
Dal punto di
vista del coinvolgimento, nel luglio del 2007, quando solo il 75% dei lavori di
costruzione della rete infrastrutturale per la circolazione delle biciclette
era terminata, i cittadini di Siviglia erano talmente entusiasti che non riuscivamo
a terminare una pista che i cittadini erano già pronti con le bici per
utilizzarla. Tutto questo è avvenuto grazie al grosso lavoro che abbiamo fatto
sulla comunicazione.
Sappiamo che i
cittadini sono interessati ad un progetto solo se si sentono coinvolti in prima
persona, se “tocchiamo le corde” dei loro interessi personali e, comunicando
bene quei messaggi per cui con l’uso della bicicletta si ha un risparmio
economico, meno impatto l’ambiente e maggiore sicurezza negli spostamenti,
oltre che realizzando la rete infrastrutturale sicura, oggi i bambini vanno a scuola in bicicletta.
A Siviglia stiamo
finendo di realizzare 4.000 parcheggi bici, abbiamo aperto una Oficina de la
Bicicleta (bici stazione) e abbiamo istituito il Registro Municipale della
Bicicletta, al fine di ridurre al massimo i furti.
Oggi girano tante
biciclette pubbliche e private: il bike sharing soddisfa quasi otto milioni di
spostamenti all'anno; in totale, nei giorni lavorativi avvengono più di 100.000
viaggi in bicicletta, ma questo dato si riduce della metà nei giorni festivi e
di conseguenza si possono contare più di 31 milioni di spostamenti in bici
all’anno.
I conteggi
effettuati nel 2008 ci permettono di affermare che vi sono più di 34.000
cittadini che fanno uso della propria bicicletta e circa 10.200 che utilizzano
Sevici (il servizio di bike sharing).
Tutto quanto ho
descritto si traduce in un modo nuovo di percepire la città, di viverla, di
comprenderla e di sentirla. Voglio concludere con una frase di un autore
spagnolo: “Si può progredire se si pensa in grande; si può avanzare solo se si
guarda lontano”… e ricordiamoci che una città per i bambini è una città buona
per tutti.
terza parte conclusioni
Eugenio Galli
Presidente
Ciclobby e Responsabile Ufficio Legale Fiab
E’ difficile,
dopo una mattinata così ricca di stimoli, immagini, dati, informazioni e
sensazioni, selezionare i concetti per esprimere delle conclusioni che abbiano
un minimo di senso. Intanto voglio
anch’io ringraziare chi ha organizzato in termini pratici questo workshop, e
poi credo che le conclusioni, per molta parte, ciascuno se le possa trarre più
o meno da solo. Io voglio raccogliere qua e là degli spunti venuti fuori dagli
interventi.
Avevo letto -
prima di fare un viaggio in Olanda quest’estate, dove ho percorso quasi 500 km
attraversando le principali città olandesi - che gli olandesi fanno tutto in
bicicletta. Qualcuno dice esserci anche un limite di capienza trasportistica
della bicicletta, mezzo che non può portare tutto, ma io ho visto portare anche
i “pallet”, quelli su cui si mettono i cartoni nei supermercati; ho visto
portare quattro bambini; ho visto portare la spesa, i fiori ecc.. Devo proprio
confermare quello che si dice degli olandesi!
Una delle cose
che mi sono portato a casa da quelle mie vacanze estive è, tra le altre cose,
il sorriso degli olandesi, e se ti vedono con una cartina in mano si fermano e
ti chiedono se hai bisogno di aiuto, se hai bisogno di indicazioni, se sai dove
ti trovi. Ecco, già questo può fare la differenza.
Gli olandesi
sono anche frenetici; corrono molto in bicicletta e, negli orari di punta,
fioccano ciclisti, a centinaia, da tutte le parti. Tu devi prestare attenzione
quando attraversi non tanto alle macchine, che senti e vedi, quanto proprio ai
ciclisti. Però, devo dire che anche in mezzo a questo correre si percepisce un
senso di serenità ed un livello complessivo di qualità della vita. Non può non
stupire soprattutto chi vive – e vale per la maggior parte dei presenti,
immagino - in una realtà che è quella urbana e soprattutto urbana milanese.
L’Italia è il Paese del sole, ma il sole forse ce lo siamo scordato, almeno nel
sorriso e nella gestualità quotidiana che spesso tende a diventare
nevrotica e aggressiva oltre misura.
Quindi la bici, anche da questo punto di vista, rappresenta qualche cosa di
nuovo.
E’ stato detto
bene che uno dei punti positivi delle esperienze di Siviglia, olandesi, le
altre che sono state citate in giro più o meno per l’Europa è la sinergia
interistituzionale. Le istituzioni, le più diverse, dei diversi livelli, dal
nazionale al regionale al locale, collaborano tra di loro, e cercano di
raggiungere degli obiettivi che sono innanzitutto concreti, e poi coerenti. Non
si limitano alla redazione di una legge regionale di mobilità ciclistica, se
poi questa rimane solo agli atti. Solo l’Italia sembra un caso diverso in cui
questa collaborazione sembra non dover esistere.
Ecco, facevo
dentro di me questa osservazione: lungi da me l’intento di redarguire gli
assenti, e non penso che da una occasione d’incontro di questo tipo possano
nascere delle visioni escatologiche o
delle soluzioni a cui nessuno poteva avere mai pensato, tuttavia ritengo che il
confronto, il parlarsi , ma anche l’ascoltarsi, possano essere molto utili.
Questo devono fare le nostre istituzioni perché a volte vien da pensare che,
nonostante sia molto facile ed economico viaggiare in giro per l’Europa per
vedere e sperimentare tante ottime pratiche, si faccia tantissima fatica a
tradurli qui in scelte concrete, non tanto perché non ci sia domanda, ma perché
è flebile la volontà di chi può intervenire.
L’anno scorso in
uno dei viaggi studio di Fiab - l’ultimo organizzato da Gigi Riccardi – abbiamo
visitato Strasburgo, che è una città di cui nella relazione finale abbiamo
scritto: “tutto quello che potevi chiedere per la bici e non hai mai avuto”.
C’è effettivamente di tutto: dalle strategie antifurto, alla comunicazione
istituzionale, la promozione della bicicletta, le piste, tutto di tutto. Ci
sono anche molte istituzioni internazionali, compreso il Parlamento Europeo,
frequentate da tanti nostri concittadini, e mi è venuto da chiedermi si rechino
in quei luoghi più o meno incappucciati, buttati dentro una macchina e
scaricati direttamente dentro il Parlamento, senza la possibilità di guardarsi
intorno.
In tutti i
viaggi che ho fatto in questi ultimi anni in Germania, in Francia, a
Strasburgo, in Olanda, mi sono sempre guardato intorno e devo dire che, pur non
essendo un tecnico, si può imparare veramente molto.
La sinergia tra
le istituzioni parte anche dalla capacità di realizzare insieme dei progetti
importanti. L’assessore Croci stamattina ha detto che c’è una tendenza nuova a
favore della bicicletta. Noi riteniamo veramente che si sia entrati in un nuovo
corso? Se le leggi regionali della Lombardia, per es. la legge 65 del 1989 sul
tema dei parcheggi e dell’intermodalità oppure la legge 38 del 1992 che dice
che i Comuni devono introdurre nei propri regolamenti edilizi norme per
consentire il parcheggio delle bici nei cortili e la maggior parte di questi,
salvo Milano, San Donato e forse pochi altri, non ha adempiuto a questa norma
dopo diciassette anni, secondo voi c’è una domanda nuova o c’è una
disattenzione antica?
Le sinergie
potremmo ora costruirle a partire dalla nuova legge regionale, una legge
importante che parla per la prima volta di un Piano regionale della Mobilità
Ciclistica. Ma, al di là del metodo che è stato usato per finanziare questa
legge per l’anno 2009, il problema è che siamo scoperti in termini di
finanziamenti per gli anni a venire! Una legge senza soldi è una legge
destinata a rimanere tale solo sulla carta!
E’ vero, quando
ci sono, i soldi possono essere spesi male, ma questo è un altro problema. Il
punto importante su cui dobbiamo ragionare oggi è come garantire delle risorse
costanti per finanziare le politiche a favore della bicicletta e nella proposta
legislativa originaria - quella della minoranza a cui anche noi avevamo
contribuito insieme ad altre associazioni in Commissione – si proponeva di
destinare una quota dei proventi dalle assicurazioni auto, garantendo un flusso
economico costante anche per il futuro. Questa proposta è stata accantonata, ed
ora il passo più importante da compiere è quello di trovare un stanziamento
regionale pluriennale da destinare a questa norma, perché altrimenti l’alibi
della mancanza di risorse diventa ancora una volta un alibi per non fare.
E’ vero, come è
stato segnalato, che la bici non ha bisogno di investimenti ingenti, ma ha bisogno di un’attenzione
coerente e competente, di un monitoraggio continuo accompagnato dallo studio
delle cosiddette “best practices”. Abbiamo visto che anche qui in Italia ce ne
sono; abbiamo visto che andando in giro per l’Europa c’è solo da imparare;
bisogna quindi mettersi nell’ordine di idee che non conta solo il dato
quantitativo, per esempio quanti chilometri di piste ciclabili esistono. Il
valore quantitativo può essere sintomatico, ma non è decisivo, perché se le
piste ciclabili sono progettate con angoli a novanta gradi, se si interrompono
negli incroci, se sono fatte con il brecciolino anziché con materiali stabili,
se non sono segnalate, se manca tutta la segnaletica d’itinerario, se mancano i
servizi di supporto, se manca tutto questo, anche il fatto che a Milano, come
abbiamo scoperto stamattina, esistano diverse decine di chilometri fruibili in
bicicletta, rimane un dato puramente teorico, sterile, che non produce alcun
valore aggiunto, perché poi, ad esempio, manca la continuità di percorso.
Allora, che cosa
serve oltre a dove creare sinergie? Il mio è un commento cattivo, ma penso che
a Milano abbiamo la cattiva abitudine di guardare in alto. Con l’assessore
Croci c’è praticamente piena intesa su tutti gli argomenti, ma Milano non ha
bisogno di confrontarsi con Parigi. Milano si può confrontare benissimo con
Monaco che, dal punto di vista orografico, dimensionale e dei tipi di mobilità,
potrebbe essere una sorta di “città gemella”. Eppure, se andiamo a vedere i
numeri di Monaco, qualche cosa non torna.
Milano potrebbe
confrontarsi con Strasburgo, che è un po’ più piccola, ma anche facendo questo
paragone ci si accorgerebbe che qualche cosa non torna.
Maggiore
attenzione alla realtà concreta significa che ogni città deve valutare le
proprie condizioni (Genova non è Milano e Parma non è Otranto), e per quanto
riguarda una città come Milano, l’obiettivo deve essere quello di avere una
rete stradale interamente accessibile e fruibile per la bicicletta. Sono 2500 i
chilometri di rete stradale di Milano? 2500 devono essere i chilometri di rete
stradale accessibili in sicurezza alle bici. Questo è l’obiettivo! Se questo è
l’obiettivo, definiamo poi le modalità con cui lo si deve raggiungere declinando
queste modalità caso per caso; ma in generale la ricetta - questo ci insegnano
le esperienze migliori – non è data non da un singolo intervento, non è data
solamente dalle piste ciclabili, ma da un cocktail di interventi, che tenga
conto, ad esempio, del tema della moderazione del traffico o degli interventi
di sola segnaletica necessari per facilitare gli spostamenti dei ciclisti. Per
quale motivo a Milano esiste una delibera del Consiglio comunale che due anni
fa impegnava la Giunta ad adottare i necessari interventi per favorire la
ciclabilità condivisa sui marciapiedi, in sicurezza e a norma di Codice, ed è
tutto rimasto lettera morta?
Parliamo di
pianificazione. Una buona pianificazione serve, nessuno lo nega, e le migliori
esperienze ci dicono che il “Bike Master Plan” deve essere studiato,
organizzato e pianificato bene. Non è il vangelo, evolve continuamente, ma offre le linee guida su cui
muoversi. Tutto questo serve perché noi crediamo che chi amministra le città,
chi amministra il territorio, debba pensare non soltanto a chi la bicicletta la
usa, ma anche e soprattutto a chi non la
usa, a chi non la usa, per esempio, perché ha paura. Questo è un tema nodale:
la mia vicina di casa si distrugge alle sedute di spinning, ma si rifiuta di
prendere la bicicletta perché ha paura di muoversi nel traffico.
Una politica
nazionale della mobilità ciclistica non esiste, questo è gravissimo, e non ci
si può basare solo sugli incentivi fiscali emessi in questi giorni, che vanno
benissimo, ma se io mi compro una bici e la tengo in cantina, allora non ho
risolto nulla.
Come diceva
Croci, anche qui a Milano l’80% delle famiglie possiede una bici. Il problema
non è di farne acquistare di nuove, ma innanzitutto di farle circolare in
sicurezza e questo deve essere l’obiettivo. Se le istituzioni fanno ciascuna
per se, le ferrovie si rifiutano di dialogare, se non c’è concertazione e manca
una pianificazione anche solo per ridurre la percezione del pericolo a cui va
incontro il ciclista, non si va da nessuna parte.
Oltre a tutto
quanto ho detto finora, credo ci sia un altro filone da sperimentare, operando
bene e attivandosi con coraggio. Reggio Emilia e Bolzano hanno fatto il passo
avanti, sfidando quella che è un’interpretazione comune ma non una norma: non
c’è nessuna norma che vieti esplicitamente il “controsenso” (e lo chiamiamo
“contromano” perché diciamo che la circolazione in Italia è sulla mano destra)
e quindi è possibile prevedere il doppio senso per le biciclette sulle strade a
senso unico per le auto.
I tecnici del
Ministero dicono che il senso unico frontale consente al veicolo di occupare
l’intera sede della carreggiata stradale e dunque un automobilista non si può
attendere che in senso contrario provenga un altro mezzo. Questa è la
considerazione che sta alla base dell’interpretazione data al Codice e che ha
prodotto i dinieghi finora opposti a tutte le amministrazioni che hanno
presentato domanda in proposito.
Ma l’esperienza
ci dice che in tutta Europa (Austria, Francia, Germania, Svizzera, Olanda ecc.),
fanno due considerazioni esattamente opposte a questa interpretazione. La prima
è che il “controsenso” giova al ciclista perché gli consente di arrivare prima
a destinazione, effettuando un percorso più breve (e questo potrebbe essere un
motivo egoistico, ma è comunque un incentivo all’utilizzo della bicicletta
rispetto ad altri mezzi); la seconda, più importante, è che il “controsenso”
favorisce la sicurezza stradale in ragione di un aumento della reciproca
visibilità tra la bicicletta ed il mezzo che sopraggiunge in senso contrario.
L’anno scorso,
quando siamo stati in viaggio studio a Strasburgo, i tecnici, diciamo così,
della “Provincia” di Strasburgo ci hanno detto che Strasburgo è una città che
sperimenta per la Francia. A Strasburgo
si usa sperimentare le soluzioni in tema di moderazione del traffico. Qui hanno
introdotto in alcune strade, in via sperimentale, il ”controsenso” ed hanno
verificato in concreto quanto dicevamo prima: in oltre dieci anni di
sperimentazione non si sono verificati incidenti di rilevante gravità. Oggi,
questa modalità di organizzazione viaria è stata regolamentata ed estesa; oggi
Strasburgo ha oltre 360 strade a senso unico per le auto e doppio senso per le
bici. Capite che ottenere lo stesso risultato fossilizzandosi unicamente sulla
realizzazione di piste ciclabili sarebbe impensabile.
I risultati
quindi giungono anche tramite una buona sperimentazione e a Strasburgo adesso
stanno sperimentando il semaforo rosso con svolta a destra consentita al
ciclista. Se l’idea dovesse funzionare, allora dopo la sperimentazione si
passerebbe alla fase di regolamentazione e definizione di questa possibile
nuova norma.
Cosa succede in
Italia? Succede che, invece di aiutare
la sperimentazione, alcuni Comuni rischiano in proprio e sono lasciati soli
contro l'interpretazione corrente, contro la giurisprudenza prevalente. Se
domani dovesse succedere - Dio non voglia - qualcosa o nascessero dei
conflitti, allora il Ministero direbbe: “te lo avevo detto e adesso sono fatti
tuoi”. Succede quindi che i Comuni più all’avanguardia devono rischiare in
proprio e, d’altro canto, anche i ciclisti rischiano perché, ad esempio, io
vado anche controsenso, ci sono delle strade nelle quali lo faccio.
Noi vogliamo che
questa situazione cambi; chiediamo che, sulla base delle migliori esperienze,
siano avviate delle sperimentazioni anche sul nostro territorio, siano
introdotte le necessarie modifiche al Codice della Strada e, soprattutto, si
regolamenti con l'apposita segnaletica l’ambito urbano frequentato dalle
biciclette.