mercoledì 8 marzo 2023

Il binario si è intossicato 29.5.08

Ripubblichiamo questo articolo, perso nel mare magnum del web, ma pietra miliare della storia recente dell'est ticino e non solo: invitiamo alla lettura del nuovo libro di Michele Sasso " Assalto alla Lombardia" edito da Feltrinelli.


Scavi per estrarre materiali da usare per la Tav.

E le cave poi riempite con rifiuti pericolosi.

Così sette cantieri sono finiti sotto sequestro.

 

di Michele Sasso da L’Espresso del 29/5/08 – pagg. 87-88

Scavare, riempire e coprire. Ce­mento armato, plastica, matto­ni, asfalto, gomme, ferro. Una montagna di rifiuti sotterrati il­legalmente nei cantieri della Tav Torino-Milano, l'alta velocità ferro­viaria che dal 2009 collegherà le due ca­pitali del nord Italia. È quanto emerso fi­nora da un'indagine della Procura di Mi­lano per reati ambientali e smaltimento il­lecito di rifiuti. Sei i comuni coinvolti nel cuore del Parco lombardo del Ticino do­ve sono state scoperte cave e discariche abusive e sono stati messi sono sequestro sette cantieri.

L'avvio dei lavori per l'Alta velocità nel 2002, secondo gli inquirenti, è stato imme­diato oggetto di attenzione per i clan di Cosa nostra e della 'ndrangheta che, nelle in­dagini della Direzione distrettuale antima­fia di Milano, risultano infiltrate per il con­trollo delle gare d'appalto, il noleggio di macchinari da scavo, la fornitura di mate­riale e commesse. Un giro d'affari miliona­rio e anche un'occasione irripetibile per smaltire centinaia di tonnellate di materia­le non bonificato senza dare troppo nel­l'occhio. Una grande opera dove, nel traf­fico di centinaia di mezzi, portare rifiuti e coprirli con la terra. In molti casi a ridosso della linea ferroviaria. «E che di fatto nes­suno controlla perché si lavora a ciclo con­tinuo, rivelano gli inquirenti.

 

Un passo indietro. Settembre 2007. Ad Ovest di Milano, nella zona del magentino a pochi chilometri dal­l'aeroporto di Malpensa, voci insistenti dicono che i terreni adiacenti alla Tav vengano utilizzati per sot­terrare «rifiuti tossici no­civi». Le voci nascono da discorsi tra camionisti ad­detti ai lavori. E alle paro­le «voi non sapete cosa vi sta per accadere» un grup­po di cittadini si preoccu­pa. Iniziano a bussare alle porte di chi potrebbe aiu­tarli. Si rivolgono a cara­binieri e istituzioni locali che allargano le braccia di fronte ad un cantiere tan­to grande e a detta della Polizia locale «blindatissimo». Uno di lo­ro scrive all'ex ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro che il 13 novembre ri­sponde: «Sinceramente non ne so nulla, ma se lei ha fondati dubbi (che sono cosa diversa dalle voci) ritengo debba segnala­re la cosa alla magistratura ».

 

E la magistratura arriva, grazie all’intervento di Davide Corbella, comandante del servizio di sorveglianza del Parco del Tici­no, che raccoglie la denuncia e la gira al tri­bunale di Milano che incarica il sostituto procuratore Paola Pirotta del pool ambientale. Intanto il 17 di­cembre a Cornaredo, a soli 12 chilometri dal capoluogo lombardo, spun­ta la prima discarica in un terreno agricolo a pochi passi dalle opere dell’Alta velocità. Due enormi bu­chi in grado di contenere più di 32mila metri cubi di materiale. Si tratta di fresato d'asfalto (il catra­me rimosso dalle strade) e materiale da scavo misto con laterizi. Si stima che siano stati fatti più di duemila viaggi, infat­ti un camion trasporta in media 15 metri cubi di materiale. La Polizia locale interviene e chiede verifiche all'Arpa, l'Agenzia re­gionale per l'ambiente, incaricata dal mi­nistero delle Infrastrutture di osservazione ambientale sulla linea Tav. I risultati sui campioni di terreno prelevati arrivano lo scorso aprile e indicano parametri fuori norma per benzopirene, benzoperilene e mercurio. A questi si aggiunge il sospetto di metalli pesanti come piombo zinco.

 

«L'inquinamento ambientale è certo: i primi sono cancerogeni per la salute dell'uomo e sono prodotti di combu­stione», conferma Clau­dio Mendicino, medico del lavoro di Milano, «li loro pericolo maggiore deriva dalla facile disper­sione nell'aria. I metalli pesanti invece sono in grado di entrare in circo­lo attraverso le colture e la falda acquifera e sono estremamente tossici perché colpiscono il sistema nervoso cen­trale e l'apparato urinario». In più con il passare del tempo aumenta il rischio di in­quinamento profondo della falda. L'Arpa minimizza e a un comandante della Poli­zia locale dichiara che la situazione non è allarmante».

 

Ma, sempre con il sospetto delle stesse sostanze nel terreno, a gennaio nel comune di Arluno si scopre un'altra discarica. Il modus operandi è lo stesso: si toglie la ter­ra e si mettono materiali a rischio e il bu­siness è doppio perché «nei terreni estrag­gono "mistone naturale" per fare ghiaia e sabbia da usare nel cantiere e si riempie con rifiuti», afferma un assessore della zo­na. Anche l'indagine prende piede e il so­spetto che la pratica si possa allargare a macchia d'olio ora è più di una voce. A febbraio parte una lettera dalla Procura di Milano indirizzata a 14 comuni del magentino per verifìcare la presenza di disca­riche lungo il tracciato Tav. Altre risposte non tardano ad arrivare. Ad aprile si sco­pre la terza discarica a Marcallo con Ca­sone. Una buca di trenta metri di larghez­za e dieci di profondità in grado di nascon­dere 20mila metri cubi dì materiale. La Polizia locale interviene e coglie sul fatto il proprietario del terreno e un autotrasportatore di Reggio Calabria che si difen­dono dicendo di piantare kiwi. Il materia­le è sempre lo stesso: plastica, ferro, asfal­to e cemento in quantità industriale. Ma un sospetto inizia ad affiorare. Dietro ai rifiuti finora accertati girano sempre gli stessi nomi di faccendieri calabresi e pre­giudicati in forte odore di 'ndrangheta. Ma non è l'unico punto fermo. Sembra che qualche imprenditore senza scrupoli abbia affittato - per poche migliaia di eu­ro - a nome della Tav zone agricole confi­nanti con i binari dell'alta velocità con una chiara indicazione, «questi sono i soldi e ora tenete la bocca chiusa».

 

Ma come si fa a tenere la bocca chiusa di fronte a scavi in grado di cambiare il pae­saggio circostante giorno dopo giorno? Le attenzio­ni degli abitanti della zona per i cantieri aumentano e anche l'indagine del tribunale di Milano continua e assume sempre più i contorni da affare di ecomafia. Il sospetto che tut­to il cantiere Tav, compresa la trincea, pos­sa essere usato come un'immensa discari­ca è molto forte. Lo scorso 14 maggio trenta agenti tra Parco del Ticino, Corpo forestale dello Stato e Polizia provinciale di Milano fanno un blitz unico da Boffalora fino a Milano. Mettono sotto sequestro sette cantieri. Due sono gestiti diret­tamente dal consorzio Cav.To.Mi. A Marcallo si scopre una cava di prestito per Tav com­pletamente riempita. Un'area di 3mila metri quadri di blocchi di cemento arma­to, sacchi di plastica, mattoni, asfalto. Ad Ossona si scopre che tutte le demolizioni che sono state fatte nella zona per far spa­zio al treno sono state abbandonate sul terreno. Anche ad occhio nudo si notano i cumuli di macerie spianati che si stima­no in 4mila metri cubi. Stessa sorte Sedriano dove si stimano 5mila metri cubi di ferro, demolizioni e gomme. Nel comune di Magenta, dove la nuova bretella auto­stradale collega l'aeroporto di Malpensa all'autostrada Milano-Torino, altro ma­teriale. A Bernate Ticino la scoperta più eclatante: qui si accumula materiale peri­coloso. Sono una ventina i fusti abbando­nati fuori da alcuni capannoni. A 50 me­tri corre la ferrovia. I proprietari sono sta­ti identificati e le indagini vanno avanti per capire il loro ruolo.

 

Messi in Fila tutti i cantieri e le discariche rimangono due interrogativi. Ci sono di­scariche lungo tutta la Tav? E ancora: da dove arrivano questi rifiuti? Le indagini hanno messo sotto osservazione i cantie­ri dell'ex Fiera di Milano, forse l’unica area in grado di generare tonnellate di rifiu­ti. E si sta verificando se ci sono collegamenti tra il nuovo quartiere CityLife, la nuova sede della Regione Lombardia e la Tav.

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