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Lo scorso 16 Maggio, si è tenuta l’udienza di appello presso il Tribunale di Milano per il processo che riguardava i “famosi” fatti dell’Università Statale del Febbraio 2013, per cui due compagni – Lollo e Simo – furono arrestati, ben 6 mesi dopo, con delle accuse infamanti riguardo al loro presunto coinvolgimento nel pestaggio di un ragazzo, con una sovraesposizione mediatica alquanto paradossale.
L’intento della Procura milanese all’epoca era chiarissimo: colpevolizzare e criminalizzare il movimento studentesco e quello NOTAV, rappresentata molto bene dai titoloni dei giornali di quei giorni, che riportavano, come ad esempio Repubblica, “Rissa alla statale: arrestati 2 notav”.
Inoltre, rettore dell’università statale, nominato pochi mesi prima, era il Prof. Vago (tra l’altro presente tra i nomi possibili per l’incarico di Presidente del Consiglio nel governo d’alleanza M5s e Lega di questi giorni), che già si era reso famoso contro il movimento studentesco milanese, sgomberando con la forza – e con cariche violentissime di più di 200 celerini dentro la stessa università – la libreria autogestita EX-CUEM.
Mentre andava in scena la farsa mediatica sui giornali, con ricostruzioni dell’episodio degne della sceneggiatura di Arancia Meccanica, nel frattempo la posizione dei 2 compagni veniva rivista e, dopo circa due mesi di detenzione nel carcere di San Vittore, venivano entrambi rilasciati anche se con forti misure cautelari (Lollo ai domiciliari, Simo con obblighi di firma nella sua città d’origine, Livorno).
Abbiamo seguito con attenzione l’evolversi della vicenda e lo stesso processo. Qua sotto potete trovare tutte le informazioni:
La sentenza di primo grado viene emessa il 21 Ottobre 2015 e approva appieno il teorema della Procura: Lollo viene condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione e 28.000€ di risarcimento della parte civile per i reati di lesioni gravissime e violenza privata, Simo a soli 8 mesi unicamente per il reato di violenza privata. Entrambi dovranno poi pagare le spese processuali. Una condanna pesantissima, se si pensa alla canea mediatica che si era scatenata all’epoca e alle misure cautelari decisamente eccessive.
I 2 compagni ricorrono in appello, ma i giudici riconfermano totalmente la sentenza di primo grado.
Nell’esprimere la nostra piena solidarietà ai 2 compagni condannati e nel voler denunciare quest’assurda vicenda, riportiamo il comunicato di uno dei due imputati, Simone, che ci ha inviato dopo la sentenza dello scorso 16 Maggio.
Redazione, 26 maggio 2018
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SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA
Ho sempre pensato che il miglior modo per descrivere quest’assurda vicenda, fosse quello di citare questo bel film di Marco Bellocchio.
La vicenda del film è molto semplice: mentre le lotte fuori dai palazzi del potere infiammano le strade di Milano, per l’omicidio di una studentessa modello e di famiglia borghese, viene incolpato un militante della sinistra extra-parlamentare al fine di screditarne gli ambienti da esso frequentati. La condanna, avviene sui giornali ben prima che nelle aule giudiziarie.
Ho sempre pensato che questa vicenda inventata, fosse un qualcosa di molto simile a quella per cui ci hanno sbattuto dentro a me e a Lollo
Uno studente dell’Accademia delle belle arti di Brera che, mentre era ad una festa all’università insieme ai suoi amici, e soltanto perché stava facendo degli scarabocchi su di un manifesto, viene selvaggiamente pestato a sangue da un gruppo di 20 militanti comunisti e notav, che si sarebbero fermati soltanto perché l’avrebbero creduto morto.
Questo è quello che i giornali hanno sempre voluto far passare.
La realtà, però, è un po’ diversa.
E sono qui a scrivere perché voglio levarmi qualche sassolino dalle scarpe.
Ma andiamo con ordine.
- C’è qualcosa che fin da subito in questa vicenda non torna. Ok, questo ragazzo si presenta in ospedale con una ferita alla testa, ha il cranio fratturato e si dovrà sottoporre a degli interventi chirurgici e, di conseguenza, la denuncia parte d’ufficio.
Ma c’è immediatamente un dato lampante che nessuno – nemmeno gli avvocati della difesa nominati all’inizio – ha voluto approfondire. Questo ragazzo si è presentato all’ospedale affermando che la ferita è vecchia di 2 settimane.
Ora, io non sono un medico, ma faccio il volontario sulle ambulanze. E vi giuro che se uno ha la testa rotta, non riesce nemmeno a stare in piedi dal dolore. Chiedetelo pure al vostro medico di fiducia e sentite cosa vi risponde.
E qua, la prima domanda: perché nessuno ha indagato o ha approfondito questo fatto?
- La denuncia parte d’ufficio. Ok, nessun problema, ma com’è possibile che nel giro di soli 3 giorni sia già sulla scrivania dell’antiterrorismo dei carabinieri di Milano?
Cosa c’entra l’antiterrorismo con una rissa tra ragazzi?
Io, all’epoca del mio arresto, lo dissi subito: qua la questione è tutta politica. Che nella rissa io e Lollo non c’entriamo, lo sanno perfettamente anche gli inquirenti, ma gli fa gola che eravamo presenti a quella festa, che Lollo è stato fermato da una volante subito dopo e che, in quanto militanti politici di 2 realtà molto scomode – la Panetteria Occupata e l’Assemblea di Scienze Politiche – nonché attivamente partecipi dentro il movimento studentesco e quello NOTAV, siamo una ghiotta occasione per criminalizzare questi ambienti. Punto. La questione è tutta qua.
E allora, perché nessuno dei compagni e delle compagne dell’Assemblea di Scienze Politiche o della Panetteria Occupata, in seguito dei nostri arresti, ha voluto fare qualcosa? Anche semplicemente esprimere la propria solidarietà? E sì che si tratta di 2 realtà politiche che seguono molto da vicino le questioni repressive.
Avevano qualcosa da nascondere? O magari avevano paura di qualcos’altro?
Io, queste domande, le posi, sia per lettera durante la mia detenzione, sia in un’assemblea congiunta con tutti i compagni e le compagne, una volta scarcerato. E nessuno mi ha saputo dare una risposta. Io e Lollo siamo stati abbandonati da questa gente
E sì che, al contrario, non c’è compagno o compagna nel resto di Milano e d’Italia che non ci abbiano dato solidarietà dopo i nostri arresti.
- Il ruolo dei testimoni dell’accusa e della presunta vittima.
Qua gente, sembra davvero di stare in un film poliziesco. C’è di tutto.
Partiamo dalla presunta vittima. Quando va all’ospedale – dopo 2 settimane dal fatto – nel tossicologico risulta ogni tipo di sostanza stupefacente. Chi più ne ha, più ne metta.
Per l’amor del cielo, ognuno è libero di fare ciò che vuole della propria vita, ma prima di imbastire un processo e accusare 2 persone di lesioni gravissime e sbatterle in galera, ce ne vuole. A maggior ragione se devo fare affidamento a un personaggio del genere, che oltretutto dichiara di non ricordarsi nemmeno nulla di quella serata, salvo poi ritrattare quando si presenta dai carabinieri dell’antiterrorismo ed è sicuro di riconoscere Lollo, chissà perché…
Ed è qui che arriviamo ai testimoni.
L’amico che era con la presunta vittima durante il pestaggio, afferma di non essere riuscito a vedere bene chi picchiasse il suo amico perché veniva bloccato contro una saracinesca. E soprattutto che non è in grado di riconoscere nessuno di quelli che lo bloccavano.
Arrivano allora altri 3 suoi amici (2 ragazzi e una ragazza), che raccolgono da terra la presunta vittima lasciata con la faccia piena di sangue (i giornali scrissero che gli aggressori avrebbero interrotto il pestaggio perché l’avrebbero creduto morto). Lo mandano a casa – da solo? Ma non aveva il cranio fracassato? – e si dirigono a tutta forza verso l’ingresso dell’università per chiedere conto di quanto avvenuto.
È in questo frangente che ho sempre ribadito di essere arrivato. Ed è in questo frangente che i 3 sono sempre stati sicuri di riconoscerci.
C’eravamo è vero, ma sentite questa.
Al primo dei 3, quello rimasto più in disparte, non gli abbiamo mai rivolto parola, eppure dichiara fin dal primo momento che si sentiva minacciato da noi (vorrei sapere da cosa e perché).
La ragazza – alla quale è vero, mi ero rivolto stizzito – ha sempre dichiarato di non essersi sentita mai minacciata né da me né da Lollo. Insomma, questi due erano sicuri di assistere alla stessa scena?
Ma l’assurdità arriva con l’ultimo.
Innanzitutto, nelle testimonianze raccolte dall’antiterrorismo, risulta “già noto a questo ufficio”. Ed è sicuro di riconoscere – fotograficamente – me e Lollo. Curiosa come cosa, non trovate? E poi quello che ci dice durante a processo, nel dibattimento di primo grado. Che i carabinieri, tra cui un capitano di Roma che è stato presente nelle indagini solo in quel momento, si sono presentati a casa sua almeno una decina di volte, per giunta in diverse occasioni durante la notte, anche se noi abbiamo agli atti solo 3 verbali di testimonianza rese in caserma.
Ora, capisco l’apprensione nel dover svolgere il proprio dovere, ma non vi sembra un tantino eccessivo presentarsi sotto casa di un ragazzo poco più che ventenne per ben 10 volte a notte inoltrata? Cos’è, non voleva testimoniare? Gli dovevate per forza far raccontare la storia che volevate voi? Lo stavate ricattando? Magari perché lo avevate beccato con qualcosa addosso, e allora ecco spiegato il perché del “già noto a questo ufficio”?
In udienza questo fatto è stato fatto presente solo timidamente e mai approfondito come si sarebbe dovuto, anche perché probabilmente sarebbe venuta fuori la verità: che questa storia è tutta una messa in scena.
- E perché mi siete venuti a prendere in 10, alle 4 del mattino, per portarmi in carcere, fra cui un tenente colonello dei ROS? Cosa vi aspettavate di trovare a casa mia?
E poi la farsa dell’articolo del Corriere della sera “mi chiami dottore”. Mai detto niente del genere.
E come giustificare le quasi 2.500 intercettazioni ambientali e telefoniche effettuate ai danni non solo miei e di Lollo, ma anche a famigliari, amici, coinquilini, etc.?
Addirittura, in un momento in cui gli inquirenti dovevano assolutamente appigliarsi a qualcosa pur di continuare l’affondo – visto che gli stava rimanendo ben poco in mano – hanno chiamato a testimonianza 3 mie amiche solo perché con loro mi ci si sentivo e vedevo di più rispetto alle altre e avrebbero dovuto testimoniare su quella serata – anche se non erano presenti – e sulla discussione avuta con uno dei compagni dell’Assemblea di Scienze Politiche, riguardo a quanto ho scritto sopra. Ma perché proprio loro avrebbero dovuto riportare questi eventi?
A me è soltanto sembrata intimidazione.
Senza contare poi il curioso furto che ho subito a casa mia, durante i mesi dell’indagine, nel quale è stato portato via – guarda caso strano – soltanto il computer…
Curiosi questi fatti, non trovate?
- Sulla difesa e sugli avvocati inizialmente nominati.
Ora, gli avvocati sono 2 persone in gamba, che hanno sempre svolto il proprio lavoro con dedizione e professionalità. Ma nel nostro caso, c’è stato qualche corto circuito.
Innanzitutto, c’è da capire perché non hanno voluto mai approfondire il fatto che la presunta vittima si è presentata in ospedale soltanto dopo 2 settimane.
Poi, le voci raccolte da molti compagni milanesi che, direttamente o indirettamente conoscevano questi soggetti (la presunta vittima e suoi amici), e avevano riportato la cosa agli avvocati, affermando che sarebbe stato meglio approfondire questo fatto delle 2 settimane perché c’erano molte cose che non tornavano fra i vari racconti che avevano sentito fare, ma che sono stati ignorati.
Infine, l’atteggiamento tenuto durante il processo. Cauto come non mai, quando invece, proprio per tutte le cose scritte sopra, si trattava di andare all’attacco delle innumerevoli ambiguità.
Altrimenti che ci sarebbero stati a che fare?
Sono stati forse consigliati male da qualcuno?
Non ci hanno mai davvero creduto?
Oppure qualcuno li ha voluto far credere che non ne valeva troppo la pena di difenderci in quel modo, perché questo qualcuno ci credeva colpevoli?
E chi è questo qualcuno?
Queste domande sono gravi, lo so, ma purtroppo il succo della faccenda sta tutto qua.
E non mi si vengano a fare discorsi su “difesa politica” o “difesa tecnica”. Se in tutti processi ai compagni ci si dovesse difendere soltanto politicamente, non riconoscendo l’autorità dello stato a processarci in quanto militanti politici, non avremmo nemmeno bisogno degli avvocati e basterebbe ricusare la difesa ogni volta (e poi però beccarsi sempre il massimo della pena, con tutto ciò che comporta di essere a carico di famiglie e compagni).
Ma questa mi sembra una logica un po’ esagerata per i tempi in cui viviamo.
Magari potrà valere per certe situazioni.
Magari poteva valere durante il ventennio fascista questo ragionamento, ma a quel punto il processo i fascisti non te lo avrebbero nemmeno fatto e saremmo tutti andati direttamente al confino.
Se oggi si affrontano i processi – soprattutto uno come questo – una difesa tecnica ci vuole eccome, e un avvocato deve essere in grado di tirarti fuori dai guai, non far pari tra imputati o lasciarsi condizionare esternamente da chi che sia.
È per questo che ho cambiato difensore prima di andare in appello.
E se si volevano portare avanti delle “difese politiche” su questa vicenda, di certo non avrei avuto molti strumenti per farlo dentro al processo. In aula, mi sarei dovuto occupare di far svelare la verità, non di dire quanto brutti e cattivi sono stati i carabinieri.
Se volevo denunciare l’infamia della cosa, mi sarei dovuto organizzare tra gli studenti in università e organizzare assemblee, presidi, mobilitazioni, oppure far prendere parola al movimento NOTAV, visto che era stato messo di mezzo. Insomma denunciare la cosa nel luogo da dove questa storia era stata tirata fuori e che era il vero obiettivo da reprimere.
E chi – tra i compagni – è responsabile di questa mancanza lo sa benissimo di esserlo, ma ha completamente ignorato la faccenda, salvo poi dare grandi pacche sulle spalle. Bel lavoro, le mie congratulazioni.
Insomma, il bilancio di questa vicenda a me sembra chiaro.
Con un’abile operazione mediatica, intimidatoria e repressiva, la Procura di Milano ha zittito il movimento studentesco – che proprio in quel 2013 stava ricomponendosi – e ha contribuito all’attacco contro il movimento NOTAV, che pochi mesi dopo ha portato all’arresto di 7 compagni con l’accusa di attentato terroristico per aver incendiato un generatore.
E nel mentre, hanno provato a rovinare la vita di 2 ragazzi, che di colpa ne avevano ben poca, se non quella – come ho già scritto altrove – di aver saputo alzare la testa contro un sistema iniquo e ingiusto. Ma questa, di certo, non credo che sia una colpa.
Se qualcuno, poi, si dovesse sentire offeso od oltraggiato per quanto ho scritto, è per me soltanto un suo problema. Io di rancore non ne porto di certo, anche perché sennò mi ci vorrebbe un fegato nuovo al giorno. Sono passati quasi 5 anni da quegli eventi e, nonostante la lentezza giudiziaria che ci attanaglia, porto avanti ugualmente la mia vita e il mio impegno politico con dignità e rispetto.
Ho scritto quello che ho scritto, perché vorrei ne rimanesse testimonianza dell’accaduto, magari che poi qualcuno non ne riesca a imparare qualcosa.
Simone Di Renzo, attivista politico
21 maggio 2018
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