mercoledì 30 settembre 2020

Della Cina e dei media occidentali

 Di Francesco Wu, dal profilo fb

Ormai si legge molto della Cina sulla stampa italiana essendo un paese che è diventato importante per n motivi.

Se devo dirla tutta per il 90% leggo delle ricostruzioni parziali o inesatte se va bene altrimenti sono anche faziose. 

Ci sono alcuni giornalisti che apprezzo molto che sanno criticare la Cina in modo puntuale perché la conoscono, contestualizzando il tutto con una visione generale, tra questi c’è sicuramente Simone Pieranni che in questo pezzo scrive del doppio standard di molti giornalisti che scrivono di Cina senza mai esserci stati se non al massimo solo in qualche evento nelle grandi città internationale. 

Ho ascoltato anch’io il video della Gabanelli, e non ho dubbi che sia onesta intellettualmente ma fa parte dei giornalisti che non conoscono la Cina se non attraverso la stampa occidentale, cioè giornalismo d’inchiesta che fa inchiesta su scritti di altri o ricostruzioni di altri, questa è la mia sensazione. A sentire la Gabanelli da Enrico Mentana mi è sembrato di sentire “diritto e Rovescio” o “Quarta Repubblica” quando fanno le ricostruzioni dei fatti, appicicando cose in apparenza tutte unite in modo fazioso oppure Travaglio quando vuole smontare un antagonista. 


“Nell’incertezza politica italiana tra fronte Atlantico e avvicinamento alla Cina, complice la visita di Mike Pompeo a Roma, i principali quotidiani italiani si piegano ben felici alla propaganda americana.

 

Tralasciando il direttore di Repubblica le cui analisi geopolitiche sono da sempre schierate e rientrano in ogni caso nelle valutazioni personali circa le opportune alleanze politiche del paese, ieri sul Corriere della Sera Milena Gabanelli e Luigi Offeddu hanno ammantato la loro analisi contro la Cina di «dati».

Come se i numeri fossero neutri e non inseriti in un contesto (omesso naturalmente) o non possano essere scelti da un rosario di dati disponibili: se ne scelgono alcuni, se ne dimenticano altri.

 

È propaganda cinese se si ricordano i milioni di poveri sollevati dalla povertà nel corso di due decenni o l’annuncio di emissioni zero entro il 2060; sono invece «dati» quelli secondo i quali la Cina avrebbe nascosto la pandemia, ad esempio. A questo proposito per altro, a meno di non credere al «Chinese virus» trumpiano, alla Cina non viene neanche concessa l’attenuante di essere stato il primo paese a confrontarsi con qualcosa di sconosciuto.

 

Ci sono stati ritardi nelle decisioni sul lockdown, certo, ma le comunicazioni all’Oms sono arrivate, per una volta, tempestive. In questo senso la Cina è lo specchio orrorifico che solleva i nostri ritardi, le nostre incertezze, a meno di non considerare perfetta, trasparente ed efficace la risposta di Europa e Stati uniti.

Nessuno nega le storture del sistema cinese – su queste pagine non siamo certi stati teneri nei confronti delle politiche cinesi in Xinjiang (a proposito, “scoprire” lo Xinjiang nel 2020 quando da almeno 20 anni la regione è teatro di politiche repressive di Pechino contro la comunità uigura è bizzarro…peserà che in altri tempi essere musulmani non era granché ben visto da certi «dati»?) o Hong Kong – ma che vogliamo fare con questo strambo animale politico cinese?

Come ripete spesso il professor Kerry Brown, un miliardo e passa di popolazione è lì, in Cina: speriamo scompaiano all’improvviso o si chiudano in una specie di bolla storica o ne teniamo conto provando a trattare la Cina come gli altri paesi ad esempio contestualizzando la storia di un paese che ha buona memoria e al contrario nostro non dimentica le umiliazioni patite dall’Occidente per oltre un secolo?

Se l’informazione ha il compito di orientare – o almeno si spera – anche la politica, come si può sperare di avere una classe dirigente lucida nelle sue scelte strategiche quando si descrive un paese, seconda potenza economica e ormai centrale nei consessi internazionali, oscillando in continuazione tra Satana e Paradiso?

La Cina è un grande laboratorio politico il cui peso sarà sempre più centrale nelle nostre vite tanto vale prenderla seriamente o – almeno – trattarla come tutti gli altri paesi.”

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