riceviamo e volentieri pubblichiamo
Il Parco Sud è ancora una realtà unica ma altri piccoli parchi agricoli stanno spuntando.
29 novembre 2018. A quasi trent’anni dalla sua istituzione, il Parco
Agricolo Sud Milano è ancora un’esperienza unica di tutela del
territorio, ma altre realtà stanno oggi avviandosi a imitarlo. Un
convegno tenutosi giovedì scorso a Torino, nella splendida sede del
Castello del Valentino, ha dato l’opportunità di conoscere i Parchi
agricoli che, nel nord e centro Italia, stanno nascendo. Certo, nulla di
paragonabile alla vastità e alla complessità del Parco Sud, ma ciò che
nel convegno è stato presentato e messo a confronto è di estremo
interesse: città come Firenze, Parma, Roma e, in prospettiva Torino,
stanno -sia pure faticosamente- strutturandosi in parchi agricoli, per
tutelare e valorizzare i territori che le contornano.
Parco Sud superstar
Ben quattro relazioni hanno mostrato, al pubblico del convegno e ai
rappresentanti delle altre realtà protette intervenuti, la complessità
di questo Parco che, secondo l’organizzatore della conferenza prof.
Giuseppe Cinà “non ha eguali in Europa e forse nel mondo”. Renato
Aquilani (presidente dell’Associazione per il Parco Sud Milano), di
Paolo Branca (sindaco e consigliere nel Direttivo dell’Ente Parco), di
Marco Pezzetta (direttore del Distretto Agricolo Valle Olona) e di
Francesco Vescovi (docente al Politecnico di Milano) nei loro interventi
hanno dato un quadro dettagliato ma anche realistico: il Parco Sud ha
difeso nel complesso il territorio, ma non è stato l’artefice dello
sviluppo di un’agricoltura sostenibile e pronta a rispondere alle
esigenze dei cittadini. E’ stato il contenitore, un attore –se vogliamo-
ma certo non protagonista.
Piccoli Parchi agricoli crescono
L’interesse sull’esperienze del Parco Sud non è testimoniato tanto
dalle domande del pubblico, quanto di quelle degli altri relatori,
desiderosi di conoscere la trentennale esperienza milanese per risolvere
i tanti quesiti che attanagliano la nascita e lo sviluppo di nuovi
parchi agricoli.
Ad esempio a Firenze, dove ormai sono otto i comuni
che si sono consorziati, insieme al capoluogo, e hanno dato vita al
Parco Agricolo della Piana Metropolitana Fiorentina, con una superficie
di 7mila ettari. Partito in sordina negli anni ’90, con lo scopo di
compensare la crescita dell’urbanizzato, il parco stenta a decollare:
troppe ad esempio le aree interessate da progetti di infrastrutture come
l’ampliamento dell’aeroporto e un inceneritore. Anche la natura di
parco agricolo è più enunciata che reale: non si è costituita, infatti,
un reale partecipazione dal basso degli agricoltori e una “visione”
condivisa, il settore Agricoltura della Regione non ha sostenuto il
Parco e, soprattutto, mancano ancora la governance e un piano di
sviluppo strategico del Parco. Eppure, nonostante che i soggetti
pubblici siano “freddi” rispetto al Parco, sono molti i cittadini e
agricoltori che, per valorizzare il territorio e il turismo, ritengono
più utile il Parco che un nuovo aeroporto.
Ancora sulla carta è il
Parco Agricolo Periurbano di Parma, che pure ha potenzialità di tutto
rispetto. Il Comune, che è stato designato da Unesco come Città della
Gastronomia, sta ancora ragionando su che tipo di parco e quali modalità
partecipative adottare, ma è molto probabile che in qualche maniera si
procederà a valorizzare le sue vaste estensioni agricole (ben 16.678
ettari), gestite da 686 aziende. Se in quelle più piccole prevalgono le
attività orticole, nelle maggiori le attività foraggiere la fanno da
padrone: 134 aziende gestiscono 12.466 vacche da latte (è o non è la
patria del parmigiano?).
In maniera altalenante procede la
realizzazione del Parco Agricolo di Casal del Marmo a Roma. Istituito
formalmente nel 2008, e nonostante che dal 2012 si sia costituito un
comitato civico per stimolare la realizzazione, gli amministratori
pubblici mostrano scarsa attenzione e determinazione. Certo, i 462
ettari, tutti all’interno del Raccordo Anulare, non sono facili da
gestire. Più che le caratteristiche del territorio -si tratta della
tipica campagna romana con prati per la pastorizia e coltivi a grano e
foraggio, interrotti dalla vegetazione naturale e da tre incisioni
vallive- è la varietà delle gestioni che complica le cose: oltre a una
proprietà latifondista a gestione estensiva, sono presenti terreni di
proprietà di istituti di credito, attività di cooperazione agricola a
carattere multifunzionale, terreni di proprietà ecclesiastica e di enti
pubblici e, per finire, orti spontanei (e anche, in qualche caso,
abusivi). Difficile procedere, anche perché molte proprietà svolgono
attività agricole “di attesa”, pronte a indirizzarsi a una
valorizzazione/speculazione urbana: nulla di nuovo, anche nel Parco Sud
territori agricoli sono di proprietà o sono state opzionate da società
immobiliari. Comunque, la spinta dal basso dei cittadini prosegue, con
qualche supporto di alcuni esponenti del mondo universitario romano.
Torino ci prova col Parco Agricolo
Non è un caso che il convegno sui Parchi agricoli si sia svolto al
Politecnico di Torino, nella sede del Dipartimento Interateneo di
Scienze, Progetto e Politiche del Territorio. Lo scopo del professor
Cinà era quello di portare all’attenzione dei decisori politici locali i
casi italiani: se, dopo i saluti di rito, gli Amministratori presenti
hanno raccolto idee per procedere, si vedrà.
Certo che le
potenzialità non mancano. Se il comune ha un’estensione agricola
limitata (630 ettari, con 120 aziende), a livello metropolitano la massa
critica certamente c’è: 2,2 milioni di abitanti in 315 comuni, su un
territorio vasto 68mila ettari. E’ vero che, in gran parte è costituito
da montagne, ma anche considerando solo i territori di pianura e valli
dei 93 comuni di cintura attorno al capoluogo, rimangono quasi 30mila
ettari di agricoltura e aree verdi. Le aziende gestiscono per lo più
attività cerealicole/zootecniche e un certo rilievo anno anche aziende
orticole e floro-vivaistiche, a cui si aggiunge un numero notevole di
orti non professionali (circa 3800, distribuiti in complessivi 20
ettari).
Le buone enunciazioni non mancano: ad esempio, nella Carta
per l’agricoltura peri-urbana del 2007, si legge: “..Il mantenimento di
un tessuto consolidato di connessione tra la città e la campagna,
attraverso il contributo di un’agricoltura sostenibile e fortemente
relazionata con il territorio urbano, può essere considerato un
“bisogno” in termini di qualità del vivere, avente per lo meno pari
titolo rispetto ad altri bisogni come i trasporti, la casa..”. Ma i
fatti concreti latitano ancora, nonostante che Torino sia molto
impegnata nella cosiddetta “food policy” e non manchino “Agende
Strategiche” tese a riorientare in termini eco-sostenibili i consumi
alimentari (ogni giorno a Torino si mangiano 1.590 tonnellate di cibo e
per la sola ristorazione scolastica primaria si scodellano 4 milioni di
pasti all’anno).
Solo un Parco agricolo può coniugare questi
imponenti bisogni con un territorio di cintura urbana ricco di
agricoltura: attenzione al cibo e attenzione al suolo devono e possono
coesistere. E la lezione del Parco Sud può dare spunti importanti su
come procedere.
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