Nel nome di Marx
Oggi, ormai centoquarantuno anni fa, moriva l'uomo che ci ha insegnato cosa fare. E se in questo arco di tempo qualcuno di altrettanto virtuoso si è prodigato nel dirci come farlo è perché, a monte, Karl Marx ci ha fornito ogni strumento di comprensione di questa società, delle sue contraddizioni e delle strategie di riscatto. Tanto che a far lo sforzo di rileggerlo ora, alla luce del contesto disumano in cui viviamo, il suo pensiero suona fresco come se fosse appena stato elaborato. Invece, il Capitale è datato 1867 e, tra le pagine di un'opera ciclopica, antesignana e illuminante, si legge la definizione del concetto di capitale che, con l'occidente e quindi le nostre vite ad un palmo dal baratro, avremmo tutti il dovere di porre al centro del nostro desiderio di un mondo migliore.
Capitale, ci perdonerà Marx per il sunto, non è un gruzzolo messo da parte ma un rapporto sociale. Meglio: è un rapporto di produzione sociale che appartiene ad una determinata formazione storica. Da una parte, quindi, il monopolio dei mezzi di produzione appannaggio di una fetta esigua di popolazione; dall'altra, a fare da contrasto, i proprietari della forza-lavoro, fisica ma anche intellettuale, la moltitudine subalterna che vende il proprio operato al mercato in cambio dei mezzi di sussistenza. È lo sfruttamento edificato sulla proprietà, quella borghese. Capitale, appunto, quale rapporto di forza in seno alla società egemonizzata dal plusvalore, il lavoro non pagato che è unità di misura dello sfruttamento nonché strumento di accumulo.
Capitale, ancora, nella sua endemica contraddizione: la necessaria contrazione dei salari per aumentare i profitti che comporta la contrazione della domanda che genera i profitti stessi. È il principio della paghetta di sussistenza elargita dai padroni, che non è mai filantropia ma la strategica fuoriuscita dal cortocircuito di cui sopra. Perché il sistema è andato gambe all'aria è allora chiaro. La sovrapproduzione, conseguenza dell'abbassamento della domanda che a sua volta è abbassata dalla riduzione dei salari, non genera ricchezza ma povertà intesa come non più soddisfacimento dei bisogni primari. Capitalismo non è che questa piovra, ma avremmo dovuto saperlo già da un sacco di tempo, più che lagnarci ora, perché debitamente messi in guardia.
Come sia possibile non avversare l'idea dominante dell'uso della tecnologia e delle conoscenze sempre nuove - oggi che in tal senso godiamo di potenzialità infinite - non per il miglioramento della qualità di vita del lavoratore ma, al contrario, per intensificarla attraverso la riduzione degli addetti e conseguente strategia di contenimento degli emolumenti, è solo uno degli irrisolti misteri che pervadono l'essere umano quale primo nemico di se stesso. Del resto, sarebbero altresì noti anche lo strumento per fronteggiare la dicotomia capitale-lavoro, la lotta di classe, e la via per il cambio rivoluzionario dell'economia, l'unione delle classi subalterne con l'organizzazione partitica. Sarebbero.
Niente. Non siamo stati in grado di fare nostro nulla di tutto ciò e il risultato è plasticamente sotto ai nostri occhi. Ciò che fa inabissare la qualità di vita, infatti, non è un'erronea applicazione del modello capitalista, come gli stessi teorici del capitale ripetono a pappagallo ogni qualvolta si palesino senza possibilità di essere celate le contraddizioni che inchiodano la massa popolare. Non una degenerazione frutto dell'errore umano ad inficiare il meccanismo, quindi, ma la sua ontologica essenza. Capitalismo umano, lapalissiano, è un ossimoro. Uno dei tanti neologismi coniati dal palazzo per indorare la pillola. Tipo 'guerre umanitarie', per intenderci. Allo scopo, il gigante di Treviri ammoniva che non serva affannarsi per interpretare in maniera differente questo tipo di mondo ma occorre lottare per rivoluzionarlo. E, tornando al pensiero iniziale, ci ha messo per le mani il 'come' che è miseramente caduto nel vuoto. Perle ai porci, è davvero il caso di dirlo.
A Marx, allora. Stella polare per chi, ancora nel 2024, abbraccia l'idea che un mondo più equo sia sempre possibile.
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