Di Elio Lannuti
PCI: oggi un secolo esatto dalla scissione di Livorno durante il XVII Congresso del Partito socialista italiano. Ieri volevo mettere agli atti questo mio intervento in fine seduta al Senato, ma di comune accordo l'ho rinviato, affinché tutti i gruppi possano ricordare la gloriosa storia del PCI e della questione morale di Enrico Berlinguer
"La storia maestra di vita, non ha mai scolari" -scriveva Antonio Gramsci- morto in carcere nel 1937 dopo la promulgazione delle “leggi speciali” fasciste e l’arresto avvenuto l'8 novembre 1926, fondatore del quotidiano l'Unità ed uno dei protagonisti - con Amedeo Bordiga ed Umberto Terracini - della scissione di Livorno del 21 gennaio 1921 (domani un secolo), durante il XVII Congresso del Partito socialista Italiano, per fondare il Partito comunista d’Italia, sezione della III Internazionale,che entrò nella clandestinità e mantenne la sua denominazione fino al giugno 1943, quando fu modificata in Partito Comunista Italiano.
I primi anni di vita del Partito Comunista d'Italia furono contrassegnati dalla sconfitta del movimento operaio e dalla violenta reazione del regime fascista foraggiato da Confindustria, col gruppo dirigente guidato da Bordiga che si spostò sulle posizioni più estremiste di una parte dell'internazionale; dei suoi stretti legami con il regime sovietico comunista nato con la rivoluzione d'ottobre, che cominciò ad allentare i suoi rapporti con la Russia dopo l'invasione dell'Ungheria del 1956, che costrinsero il Pci a riflettere sulla propria strategia e sul socialismo realizzato, prendendo le distanze dall’unitarismo sovietico prevalente nel movimento comunista mondiale.
Durante la seconda guerra mondiale, il PCI - che il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta del muro di Berlino, venne sciolto da Achille Occhetto nella cosiddetta «svolta della Bolognina», con la nascita di un nuovo partito della sinistra italiana.- svolse un ruolo importante nella Resistenza contro l'occupazione tedesca ed il fascismo, dopo che Palmiro Togliatti attuò una politica di collaborazione con le forze democratiche cattoliche, liberali e socialiste, proponendo per primo la «via italiana al socialismo» ed ebbe un'importante influenza nella creazione e nella difesa delle istituzioni repubblicane, attraversate dalle stragi iniziate il 12 dicembre 1969 a Milano con Piazza Fontana, la strategia della tensione, il tentativo di sovvertire lo Stato coi servizi segreti deviati e la loggia massonica P2 di Gelli.
Ho conosciuto molti di quei dirigenti, dai quali ho tratto insegnamento durante gli anni di piombo, la nascita delle Brigate Rosse ed il rapimento di Aldo Moro, quando facevo il segretario del prof. Mario Spallone, il medico di Togliatti: Luigi Longo, Giorgio Amendola, Nilde Iotti, Pietro Ingrao, Umberto Terracini, Giancarlo Paietta, il presidente Napolitano, Luciano Lama, ed altri dirigenti del partito comunista italiano, tutti accomunati nella missione di tutela dei diritti di lavoratori, operai, impiegati e contadini per migliorare le loro condizioni di vita e costruire le basi della democrazia dell’alternanza, diventata più facile dopo la caduta del muro di Berlino avendo sempre a cuore l’interesse generale ed il bene comune. Più di tutti il segretario Enrico Berlinguer, che in una intervista del luglio 1981 pose il problema della questione morale.
I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss".
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata. Noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato".
Nell’epoca della società della sorveglianza, del dominio incontrollato ed incontrastato dei giganti del Web, la cui deriva autoritaria è imputabile a precise responsabilità politiche, che hanno consentito agli Stati sovrani di essere sostituiti da privatistici Trattati, la giustizia dagli Arbitrati, le democrazie dalla dittatura degli algoritmi e degli spread, il potere democratico dei governi legittimamente scelti con libere elezioni, con l’assolutismo dei click coi cittadini, dapprima narcotizzati dai social, poi degradati al rango di consumatori costretti ad utilizzare servizi imposti dal regime oligopolistico dei giganti del web (Google, Facebook, Twitter, ecc.), che sfruttando l’assenza di limiti e contrappesi democratici, hanno edificato potenti strutture oligarchiche, riorganizzando il mercato globale a loro esclusivo uso e consumo, svuotando il ruolo degli Stati sovrani, per innescare cicli infiniti di recessioni ed un regime senza precedente di autoritarismo.
La storia maestra di vita deve essere d’insegnamento perchè chi non la conosce, è condannato a replicarla, anche per evitare che il ripetersi delle tragedie del passato, nell’epoca delle dittature invisibili, come insegnato da Karl Marx, le tragedie possano ripetersi trasformandosi in farsa.
Elio Lannutti
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