giovedì 23 febbraio 2017

POLITICA Grandi opere in Lombardia: «perdite pubbliche profitti privati».

dal mensile di Finanza Solidale valori.it/   articolo di Roberto Cuda


La prima a rompere gli indugi fu la provincia di Bergamo. Poi, con inaspettato effetto valanga, seguirono la Camera di commercio bergamasca, la provincia di Brescia e la città metropolitana di Milano. Rischia di allargarsi a macchia d’olio il fuggi fuggi da Brebemi, la direttissima Brescia-Bergamo-Milano inaugurata nel luglio 2014, con relativo strascico giudiziario per il rifiuto della società a liquidare le quote.
Ma ad aprile le danze fu, un anno e mezzo prima, l’azionista di maggioranza. Era l’aprile 2015 e Casrlo Messina, da un paio d’anni alla guida di Intesa Sanpaolo, annunciò ai soci la dismissione di tutte le partecipazioni autostradali del gruppo entro il 2017. La notizia fu deflagrante quanto ignorata dai media. Finiva così un almeno un decennio di interventismo infrastrutturale (e non solo) della cosiddetta “banca di sistema”, che nelle nuove autostrade lombarde iniettò 590 milioni tra prestiti e quote azionarie, dei quali rischia ora di rivederne la metà. Erano gli anni della coppia Bazoli-Passera, che pur di appoggiare il governo di turno non rinunciarono ad operazioni in perdita.

Solo la quota di Brebemi (200 milioni) la banca ha perso il 35% in due anni, mentre la società cumulava perdite per oltre 100 milioni. A pesare sono in gran parte gli oneri finanziari, cioè quel 7% che la concessionaria continua a pagare sul debito monstre di 1,8 miliardi. Senza contare i derivati – negativi per 300 milioni – sottoscritti per fronteggiare il “rischio tassi”, appunto.
Numeri da brivido, che avrebbero portato qualunque società sulla soglia del Tribunale fallimentare. Ma non Brebemi, che come altre concessionarie beneficia di un trattamento di favore, per usare un eufemismo. Oltre a un contributo pubblico di 320 milioni e all’allungamento della concessione di sei anni a 25 anni e mezzo, deliberati dal governo Renzi, gli azionisti godono di un rendimento garantito del 6,8% sul capitale investito e soprattutto di una “buonauscita” di 1,2 miliardi a fine contratto.
Certo, c’è sempre il “rischio traffico”, sul quale si gioca la vera scommessa. Prendiamo i numeri ufficiali, per non sbagliare. Nel Piano economico e finanziario inviato al Cipe nel 2014 è indicata la soglia di 30.800 veicoli giornalieri nel 2015, che dovrebbero salire a 33.200 nel 2016. Parliamo del traffico minimo per far quadrare i conti. Ebbene, nel 2015 sono circolati mediamente 11.955 veicoli al giorno, mentre a giugno 2016 eravamo a 16.000. Non stupisce allora la decisione di Intesa di vendere, nonostante le garanzie pubbliche.
Già, ma a chi? Il primo in lista è il gruppo Gavio, che è anche secondo azionista delle società e socio di maggioranza della collegata Tangenziale est esterna di Milano-Teem (il secondo socio è Intesa con il 17%). Gavio si accollerebbe di malavoglia rischi e perdite, ma potrebbe rifarsi sui lavori. Ed eccoci al punto: il vero business sono gli appalti, non certo la gestione. O meglio, la seconda serve ad accaparrarsi i primi. La costruzione di Brebemi venne assegnata per 1,4 miliardi a un consorzio formato da Pizzarotti, CCC e Unieco in qualità di general contractor, tutti soci della concessionaria. Poi c’è il ricco boccone della manutenzione e qui la società ha giocato d’anticipo. I lavori sono stati assegnati direttamente a un’impresa ad hoc (Argentea) costituita più o meno dagli stessi soci di Brebemi, che hanno sottoscritto un contratto da 360 milioni per 19 anni. L’operazione è quantomeno dubbia sul piano legale e sarebbe materia d’indagine dell’Anac, visto che esiste una legge – la 34 del 2012 – che impone di affidare almeno il 60% dei lavori tramite gara (l’80% nel nuovo Codice appalti). Staremo a vedere.
Non se la passa meglio Pedemontana, che collega la fascia nord da Cassano Mgnago a Osio Sotto. La prima tratta, fino a Lomazzo, fu inaugurata nel gennaio 2015 e dopo tre mesi registrava 20.000 veicoli giornalieri, contro i 36.000 previsti. L’opera è costosissima: 5,2 miliardi per 90 km. Lo Stato ha messo 1,2 miliardi a fondo perduto (utilizzati al 90%) e le banche solo 200 milioni, mentre il capitale sociale è fermo a 300 milioni (su 536). Aggiungiamo pure un centinaio di milioni di prestito soci subordinato, e il resto è tutto da trovare.
Che le cose si sarebbero messe male era chiaro fon dal 2001, ben prima della crisi, grazie ad uno studio approfondito del Politecnico di Milano. Completamente ignorato.
La situazione è in un vicolo cieco e rischia di trascinare nel baratro Serravalle, azionista di maggioranza al 79% (Intesa è il secondo azionista con il 18%). Serravalle – storica concessionaria della Milano Genova e delle tangenziali milanesi – è ora controllata dalla Regione Lombardia, ma fino al settembre 2014 era in mano alla provincia di Milano tramite Asam. E fu la Corte dei conti, nel marzo di quell’anno, ad alzare il velo. Nel biennio 2011-2012 Asam accumulò perdite per 295 milioni e debiti in crescita da 205 a 271 milioni. Il motivo? Soprattutto la svalutazione della quota Serravalle, che passò da 690 a 380 milioni, prosciugata in gran parte proprio da Pedemontana. Ecco come bruciare risorse pubbliche  e azzoppare un patrimonio dei milanesi, Serravalle, da sempre considerata una macchina da soldi.
In questo scenario colpisce l’ostinazione del governatore lombardo Roberto Maroni, che nel nuovo piano sulla mobilità ha già preventivato quasi 400 chilometri di nove autostrade, Pedemontana inclusa. Sono state riesumate arterie che sembravano ormai estinte naturalmente, come la Broni Mortara o la Cremona Mantova, incuranti dei miliardi già spesi. Solo su Pedemontana, Brebemi e Teem, Stato e Regione hanno messo 1,95 miliardi, quando per rinnovare l’intera rete ferroviaria regionale ne sarebbero bastati 1,5.


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